Monday 23 December 2013

La misteriosa scomparsa della Gioconda



Un giorno la Gioconda non ne poté più di quella folla vociante davanti a lei, e di vedersi usata per pubblicità di tutti i tipi, così decise di uscire dal quadro, lasciandovi solo lo sfondo, e si allontanò dal Museo.
Il quadro venne allora coperto ed i visitatori iniziarono a disertare il Musée du Louvre, mentre si attivarono canali diplomatici per far venire a Parigi l’altra Gioconda dipinta da Leonardo da Vinci.
Chi volesse sapere cosa poi fece Liza Rivoli (il nome che la Gioconda adottò dopo essere uscita dal Museo), dove andò a vivere, chi divenne sua amica del cuore, e chi il suo grande amore, nonché il motivo per cui si ritirò in convento, ed alla fine prese una decisione tanto drastica… potrà trovare le risposte in questo libro di Fabrizio Ago:

La misteriosa scomparsa della Gioconda.

Friday 9 August 2013

Recensione de: L'emozione ha la tua voce, di Rossana Lozzio

Se non tenti di metterti alla prova con lui, temo che non sarai mai in grado di essere felice accanto a qualcun altro.

Bello e coinvolgente questo romanzo di Rossana Lozzio. Scritto con una penna scorrevole e fluida che cattura sin dalle prime pagine. La narrazione ha poi un ritmo incalzante che induce il lettore a non volersene staccare sino alla fine.

Vi si narra di Greta che custodisce gelosamente nel suo intimo un gran segreto.
Fin da ragazza lei si è follemente innamorata del padre, medico, di Martina, la sua più cara amica. Un uomo sui quarant’anni, bellissimo, con profondi occhi scuri e che cammina in maniera scandalosamente eccitante.
Lui non può nemmeno sospettare la cosa, anzi pare quasi ignorare la ragazza, che saluta appena, quando lei viene da loro.

Non sarebbe certamente il solo caso di ragazza innamorata di un uomo che nemmeno si accorge di lei. Ma frequentare l’amica, rischiando di incontrarlo, o comunque di parlare di lui, è qualcosa che la fa troppo soffrire. E così finisce per allontanarsi da Martina e con la scusa di nuovi studi cambia città.
 
Sono passati dieci anni e lei ora è un’affermata scrittrice, che conduce anche un interessante programma radiofonico. La sua vita sentimentale è invece un disastro. Vorrebbe riuscire a viversi la vita con leggerezza, ma non ci riesce. Vorrebbe dimenticarlo, ma si sa, razionalità e sentimenti non sono capaci di prendersi per mano. Si nutre costantemente solo di “un silenzio che risuona dentro di lei come un rumore assordante”.

Quell’amore mai nemmeno dichiarato è sempre lì, inteso e forte, e le impedisce di avere altri rapporti affettivi. Anche l’aiuto di uno psicanalista, cui si rivolge, non sembra arrecarle grande giovamento.

L’amica ora si sposa e la cerca. Desidera averla vicina per il suo matrimonio. Cambierà poi città e così le due giovani donne saranno di nuovo vicine e potranno riprendere a frequentarsi. Anche i dieci anni di lontananza non hanno minimamente scalfito la loro profonda amicizia.
Al matrimonio Greta rivede il padre dell’amica, tutt’ora bellissimo, con appena una velatura di grigio alle tempie. Questa volta lui si dimostra molto affettuoso con lei, ma ovviamente come può esserlo un genitore. E questo la fa soffrire ancora di più. Lo incontra poi di nuovo e la situazione diviene per lei sempre più insostenibile. L’uomo una volta giunge anche ad abbracciarla, e sono per Greta momenti bellissimi e di grande emozione, anche se il gesto di lui rimane pur sempre solo quello mosso da un affetto paterno.

Si confida quindi con un’altra amica, Melissa, che le consiglia vivamente di lasciarsi andare e confessare il suo amore, od in alternativa di dimenticare quell’uomo e di lanciarsi in una qualche storia d’amore.
No, il suo amore non lo potrà mai confessare. Pensa allora alla seconda ipotesi.
In effetti in quel periodo, alla radio frequenta per lavoro Silvio, un musicista di successo, ed i due si piacciono. Lui le fa delle avances che lei, dopo qualche esitazione accetta, e così i due iniziano a frequentarsi e flirtare. Ma non vi è nulla da fare, anche nei momenti di intimità, lei non dimentica il suo unico e vero amore.
 
Silvio se ne rende conto e nel corso di una cena con altri amici, tra cui Martina ed il padre di lei, la prende bruscamente da parte e le chiede un chiarimento. Un chiarimento che sia definitivo.
Il padre di Martina casualmente sente parte di quella loro conversazione e capisce come Greta sia innamorata di lui, fin dai tempi in cui era ragazza. Nella sua eleganza e signorilità non mostra comunque di rimanere colpito da quelle rivelazioni. E non ne fa minimamente cenno con lei

Ora però il grande segreto di Greta è stato violato. Lei ne rimane sconvolta, svuotata di ogni energia. Se proprio quel suo amore doveva essere rivelato, confessato, le cose non sarebbero proprio dovute andare in quel modo. Lei si sente umiliata, oltre che disperata. L’istinto ancora una volta le suggerisce di fuggire.
Parte così per una vacanza al mare. Ha assolutamente bisogno di calmarsi e riordinare le idee. Non dice a nessuno dove va, solo Melissa ne è informata.
La solitudine, l’aria di mare, pure in quel freddo inverno sembrano farle bene e lei inizia lentamente a riprendersi. Ma una sera sente bussare alla porta…

A questo punto non si può proprio proseguire. Sarà il lettore a dover scoprire da solo gli sviluppi di questa affascinante e dolorosa storia. Ma stia pur certo, non troverà un lieto fine. A Rossana Lozzio non si addicono i romanzi stile Harmony. Sul tutto aleggiano poi le calde note di: It’s over, dei Level 42, di cui l’Autrice trascrive integralmente il testo in appendice: “Non mi troverai da nessuna parte/ e non prenderò nessun souvenir/ nessuna promessa di foto profumata/ perché è finita/ e io non tornerò

Un romanzo gradevole e molto avvincente, questo della Lozzio, oltre che per la trama, anche per lo stile elegante e per le raffinate analisi psicologiche che propone. Lei poi, già affermata scrittrice, ha decisamente superato se stessa con quest’ultimo lavoro. Complimenti vivissimi.
In definitiva, un romanzo che sarebbe veramente un peccato lasciarsi sfuggire.

Tuesday 30 July 2013

Un'immagine del monastero sperduto di Mar Mousa a Nebek in Siria, dove viveva ed operava padre Paolo Dall'Oglio, prima di venir espulso dal paese! E quindi il mio incontro con padre Dall’Olio all’ingresso del complesso, nel febbraio 2001, quando impostammo un programma di Cooperazione sul dialogo interculturale ed interreligioso, da organizzare proprio al monastero. Che bella persona e quante speranze avemmo allora sulla possibilità di far avvicinare cristiani e musulmani!

Recensione de: Aurelia Di', di Carmela Fiorella Mazza

Cecile ti ha amato come tu pretendevi, avendo annullato la sua natura di donna e i suoi desideri…

Merita simpatia e rispetto una signora di una certa età, che dedica un libro al suo splendido nipotino. Fin dalle prime pagine “Aurelia Di” risulta poi scritto con garbo e prosa coinvolgente. Ho così deciso di leggerla questa sua sagra familiare. Ci troviamo nella Sicilia dell’immediato dopoguerra dove vivono, in una splendida villa, i conti d’Albano, con la madre Cecile, irlandese, che “porta scolpita nel volto una dolcezza unica, rassicurante”. Loro sono dieci figli e la protagonista, Aurelia, un io-narrante, ripercorre le loro vicende, da quando erano bambini, ad un oggi, in cui i fratelli si ritrovano tutti insieme, dopo dieci anni di separazione. Tanti ne sono infatti passati da quando loro, fratelli, ancora vivevano insieme in quella casa. Lei vuole essere la prima a giungervi, ed ecco che i ricordi le si affacciano lievi, ma anche prepotenti alla memoria. Si susseguono così piccole scene di vita quotidiana nella grande casa austera, dove regna una severa disciplina, ma anche l’ombra amorevole e vigile di Mara, la vecchia governante, “donna senza tempo, antica nelle forme e nel portamento”. Quando lei ha dodici anni, la madre, già debole di costituzione, anche per la fatica delle tante gravidanze, si ammala e lentamente muore. In famiglia nessuno però parlerà mai di quell’evento: “Era come se ognuno di noi avesse preferito elaborarlo nella solitudine della propria anima”. Poi i ragazzi crescono e iniziano una nuova vita. Una sorella si sposa, con la benedizione di tutta la famiglia, mentre un fratello si fidanza con una ragazza di origini brasiliane, che proprio non piace al padre, tanto da vietare alla coppia di farsi rivedere da lui. Un padre padrone, sempre preda dei suoi pregiudizi. Crescendo, Aurelia prova stani turbamenti nei confronti del fratello gemello Gianni. Li attribuisce al suo passaggio verso l’età adulta. “Mi prese una sorta di desiderio strano, dal quale ero già fuggita altre volte, e che mi aveva destato sgomento. Mi sentivo naturalmente attratta da lui, come la calamita a contatto col ferro”. L’altra sorella, Marinella inizia invece ad allontanarsi inspiegabilmente da lei. Vi è anche un altro fatto che viene a turbare la ragazza. In più di un’occasione si accorge di essere spiata, seguita per strada da una barbona, una strana figura femminile tutta avvolta in un grande manto. Ne è turbata, indispettita. La famiglia continua in ogni caso a vivere serena e unita. Alcuni fratelli si sposano, pur continuando a vivere nella grande casa, ed iniziano ad arrivare i primi nipotini. Solo alcuni, per lavoro o per proprio desiderio, vanno a vivere lontano. Poi il padre muore e tra i fratelli iniziano i primi veri dissidi, per questioni ereditarie. Subentra infine un tracollo finanziario per alcuni di loro. Anche all’interno delle nuove coppie iniziano le tensioni. Quanto ad Aurelia, nel frattempo lei è andata a lavorare alla biblioteca comunale. Ma finirà per incontrare anche lei l’amore? E lo strano atteggiamento della sorella, ed il mistero della barbona che la segue? Le risposte a queste domande non possono ovviamente che essere lasciate alla scoperta del lettore. Giunge infine la malattia del primogenito, e il timore che possa andarsene anche lui porta i fratelli ad accantonare almeno momentaneamente i reciproci dissapori ed a riunirsi ancora una volta tutti nell’antica casa. Certamente un libro di buoni sentimenti, ma con un esito assolutamente non scontato. In altre parole, un libro di cui si consiglia la lettura.

Monday 22 July 2013

Intervista di Roberta Strano

Intervistando Fabrizio Ago di Roberta Strano

Oggi intervistiamo lo scrittore  Fabrizio Ago, nostro collaboratore (recensore) per la rivista EspressioneLibri (www.espressionelibri.it)

Parlaci di te, della tua vita in Italia e in Canada


Quando mi sono laureato, subito capii che la professione in Italia poteva essere praticata solo con grandi compromessi ed entrando nella cerchia di qualche gruppo politico. Preferii così prendere la via dell’estero, e in particolare andai a lavorare nell’Africa sub-Sahariana, pur mantenendo sempre Roma come base operativa. Sono poi approdato alla Cooperazione italiana allo Sviluppo ed ho preso a viaggiare di continuo tra medio Oriente, Cina, Sud-Est europeo. Diciamo che ho praticamente sempre avuto un piede sulla scaletta di un aereo.
Quando finalmente sono andato in pensione, ho ritenuto che fosse venuto il momento di cambiare vita.
Insieme alla mia compagna, ci siamo comprati una casetta a Procida, che considero il mio rifugio e la mia fonte d’ispirazione per i libri che scrivo.
Ma avevo anche il desiderio di allontanarmi dall’Italia, almeno per un periodo. Non mi riconoscevo più nel paese, per come si era trasformato e imbarbarito negli ultimi vent’anni.
Così siamo approdati in Canada, ormai da cinque anni. Certo qui tutto è ben organizzato e funziona, ma sono anche difficili i rapporti umani con i canadesi, almeno per noi abituati alla franchezza e alla cordialità. Loro invece hanno un concetto di privacy molto rigido, che a volte sconcerta. Ma abbiamo una bella casa, proprio nel centro di Toronto, e poi vi sono tanti posti da vedere e scoprire, e mi faccio sempre lunghe camminate tra boschi, laghi ed isolette e nell’insieme siamo ben contenti di questa nostra scelta.
In Italia ho comunque i miei fratelli, due figli e due deliziosi nipotini. Così almeno tre o quattro volte l’anno parto ed ho come tappe obbligate Roma, Napoli, Milano, Torino, oltre a Procida, dove vado sempre a rifugiarmi per qualche giorno.
Continuo poi a viaggiare per seminari, convegni, premiazioni, almeno due volte l’anno, sia in Italia che in paesi lontani, dalla Svezia, alla Cina, al Brasile.

Raccontaci della tua passione per i musei e la cultura che ti ha portato a ricoprire il ruolo di responsabile del Settore Patrimonio Culturale e di Mediatore Unesco-WIPO.

La protezione e valorizzazione del patrimonio culturale è un tema che mi ha da sempre affascinato, fin dai tempi dell’università. Iniziando a lavorare ho poi deciso di dedicarmi a tale settore, sia nel periodo africano, che poi quando entrai alla Cooperazione Italiana e ora che sono in pensione con la mediazione per conto dell’Unesco nei conflitti tra musei ed altre istituzioni pubbliche.
Alla Cooperazione avevo proposto la creazione di un settore per il Patrimonio culturale e, dopo alcune iniziali diffidenze, le mie idee vennero accettate.  I musei e le biblioteche sono praticamente sempre stati la mia passione. Così ero molto felice di potermi dedicare a loro anche progettandoli, studiandone ristrutturazioni e allestimenti, contribuendo a formarne il personale.
Purtroppo le cose non sempre sono andate come avevo auspicato. Al di là di indiscutibili successi le delusioni non sono mancate. Il progetto per il Museo archeologico di Teheran, ad esempio, è stato abbandonato in quanto non ospita collezioni islamiche, le uniche per l’Iran degne di essere preservate. A Xian le Autorità locali hanno cambiato il progetto per cinesizzarlo meglio.
Ma ciò che più mi rattrista è il non sapere cosa ne sia dei lavori effettuati ai Musei di Damasco ed Aleppo, in quella martoriata terra, abbandonata dalla comunità internazionale. La situazione è poi tanto diversa al Cairo od a Tunisi; ed Ebla esiste ancora?

Un'altra tua grande passione à la scrittura, che spesso ha come ambientazione I musei. Mi riferisco in particular modo al tuo ultimo libro, Notte al Museo di Castelvecchio pubblicato nel dicembre 2012 con YouCanPrint.
Sono da sempre stato affascinato dalla lettura e dalla scrittura; il mio lavoro mi lasciava tuttavia modesti margini da dedicare ai libri. Nel corso della vita professionale, ho quindi praticamente prodotto solamente manuali, dispense universitarie, testi monografici su siti archeologici o musei. Poi mi è venuto il desiderio di dedicarmi ad una scrittura “più leggera”.
Sono così nati i miei libri del periodo in pensione, in cui sempre il museo gioca un ruolo da protagonist.
Ho iniziato con una ricerca bibliografica su come il museo viene raccontato nei romanzi, nelle cronache di viaggio, nelle pièces teatrali. Che splendide giornate ho passato in biblioteche per questo. Sono poi seguiti due libri di ricerca ed interpretazione degli atti delittuosi che sempre più di frequente vengono commessi all’interno di musei, ben oltre quello, diciamo tradizionale. del furto di opere d’arte, e che vanno dall’omicidio, agli attentati ed alle intimidazioni mafiose, allo stupro, al traffico di droga, alla rapina dei visitatori.
La televisione e la stampa ci hanno abituato ad interminabili reportages su fatti di cronaca, spesso eccessivi e invasivi della privacy. Ma se il delitto riguarda un museo, allora giusto un trafiletto di poche righe. Ho così iniziato non solo a chiedermene la ragione, ma anche a tentare di proporre una ricostruzione della dinamica di quei delitti.
E nel raccontarla mi piaceva in particolare immaginare che i musei fossero in qualche modo in grado di comunicare con degli umani, dotati ovviamente di una particolare sensibilità.  Ma ancora non ero del tutto soddisfatto. Era alle opere esposte nei musei che avrei voluto dar vita.
Cercare di cogliere cosa loro provino, sentano, come guardino a noi umani, se con simpatia o con distacco, se con senso di complicità od all’opposto di grave disagio.
Pur rimanendo nell’ambito dei musei, ho seguito in fondo come una sorta di percorso di progressiva emancipazione rispetto alla saggistica pura. E Notte al Museo di Castelvecchio può a tutti gli effetti essere considerato il mio primo romanzo.
 
Cosa ti ha ispirato questa storia suddivisa in 9 capitoli, così particolare e inconsueta?
 
Quelli che ho citato erano gli aspetti su cui mi andavo concentrando, quando iniziò a maturare in me l’idea di questo libro su Castelvecchio.
Mi era capitato di andare due volte a Verona, e lì mi si era come accesa una lampadina. Innanzi tutto quello è un museo magico, con l’architettura medievale, misteriosa e armonica ad un tempo, meravigliosamente restaurata da Carlo Scarpa. Nella Sala Reggia, che subito mi rimase cara, sono poi esposte trenta opere, quadri e sculture gotiche del Tre e Quattrocento, tutte bellissime e nell’insieme ben conservate.
Loro sarebbero state i protagonisti del mio romanzo. Era abbastanza semplice immaginare che parlassero, anche che facessero commenti e persino pettegolezzi sui visitatori. Sì, ma poi cos’altro? Dovevo assolutamente sintonizzarmi con loro, studiandole una ad una, non per ammirane la fattura, ma per carpirne i segreti. Così tornai ancora diverse volte a Verona ed al museo e continuai a scrutarle attentamente, in un iniziale quadro di sospetto, che poi presto si mutò in affettuosa complicità e divertimento, da parte dei custodi.
Questo ovviamente comportò un armarmi di attenzione e disciplina, per vederli davvero quei quadri e quelle sculture, non solo guardarli; per ascoltare quello che avevano da rivelarmi, per carpirne i segreti.  E’ stata poi necessaria un’attenta ricerca storiografica sia sui personaggi rappresentati, che sul periodo in cui tali opere vennero dipinte o scolpite, ricerca da effettuare prima di guardarle ed anche dopo.
Intendevo pormi dalla loro parte, immedesimarmi nella loro dimensione, dando voce ai loro pensieri, sentimenti e ricordi. E questo sia nei rapporti che le opere intrattengono tra loro, che nel modo in cui loro vedono noi umani, o si sentono da noi guardate, con il nostro disinteresse, ma anche i nostri affanni e trepidazioni, in particolare in un periodo difficile come quello attuale.
Era poi abbastanza semplice immaginare che quei quadri, quelle sculture parlassero, anche che facessero commenti e persino pettegolezzi sui visitatori. Sì, ma poi cos’altro? Provavano dei sentimenti quelle opere d’arte? Potevano innamorarsi, covare nell’intimo un forte desiderio di fuga, vantarsi di proprie capacità e conoscenze, forse inventate, diffamarsi a vicenda? E come potevo immaginare che comunicassero? Che tipo di cultura avevano, a parte le due o tre opere sapientone, che ricordi e segreti nascondevano? E quando parlavano o ricordavano, i messaggi che trasmettevano erano quelli del personaggio rappresentato dall’opera d’arte, o quelli della stessa opera, per come era stata plasmata o dipinta da un mastro medievale?
 
Puoi delineare a grandi linee la trama del tuo libro? E qual è il suo insegnamento?
 
Vorrei ancora precisare che la Sala Reggia aveva finito per divenire lo scenario del romanzo, mentre protagonisti non erano delle persone, dei visitatori, bensì le opere che vi sono esposte e che la notte si animano. Ma in modo ben diverso da come accade nel film di Ben Stiller. Nel mio testo non si muovono, si limitano a dialogare tra loro.
Per il resto il romanzo non ha una sua particolare trama e la suddivisione in otto capitoli, oltre all’epilogo, è abbastanza casuale. Tutto si svolge in una sola notte di fine marzo, da quando il museo viene chiuso e le opere iniziano a prender vita, fino alla mattina successiva, quando i custodi lo riaprono e vengono colpiti da un’inquietante scoperta, che ovviamente non posso qui rivelare.
Quanto alla tua ultima domanda, non avevo certo la pretesa di proporre insegnamenti. Questo voleva essere solo un romanzo. L’obiettivo che mi ero posto era di dar voce a quelle opere. Questo mi aveva enormemente affascinato e le sensazioni ed emozioni che avevo provato, passando intere giornate in quella sala, avevo cercato di riversarle nel testo. Diciamo che in qualche modo mi ero fatto opera anch’io, ribaltando completamente la prospettiva che un visitatore ha quando entra in un museo.
Se poi il libro, per i riferimenti, le suggestioni che propone, come il periodo di Gesù in Tibet, le dissertazioni che alcune opere fanno sulla matematica e l’algebra, la capacità di alcune di calunniarsi e di amarsi, ma anche su cosa loro pensano di noi umani quando vi ci rechiamo, può lasciare un suo segno nei lettori che forse nella loro vita hanno anche visitato almeno un museo, saranno loro a doverlo dire. Per quanto mi riguarda l’intenzione comunque c’era.
Diciamo che se da domani ne ricaveranno un sentimento diverso, meno frettoloso e disinteressato, più diretto per le opere esposte nei musei, di simpatia, ma anche di fratellanza (se posso permettermi questo termine), allora il mio obiettivo sarà stato davvero raggiunto.
 
Grazie di essere stato con noi!
 
Ancora grazie a te e ad Espressionelibri. Vorrei anche aggiungere che se qualcuno è interessato, andando al mio blog: http://fabrizioago.blogspot.ca, può leggerne la sinossi, l’introduzione ed un capitolo del libro, come anche vederne il booktrailer.

Thursday 18 July 2013

Recensione de: Preferisco le zebre, di Ginger Flam

 
 
"In fondo avevo sempre preferito le zebre ai cavalli”.

Maldestro e goffo, “un perfetto perdente”, ma anche dotato di sottile autoironia, ci viene proposto Joseph, il protagonista di questo breve e gradevole romanzo di Ginger Flam.
Lui è ora un professionista affermato, ma nel suo intimo non è del tutto contento di sé. Un giorno si alza, va in bagno, si guarda allo specchio e si accorge di non somigliare più all’immagine che aveva di se stesso. Iniziano allora i ricordi, ricordi sparsi e non in sequenza temporale, comunque da quando era bambino.
Da sempre timido ed imbranato, lui si era però sentito un creativo, capace di inventare storie assurde, ma sempre ideate a fin di bene, per cercare di risolvere in favore di altri, situazioni delicate ed imbarazzanti, prive di via d’uscita. Era così arrivato a catturare le simpatie della bambina più bella della classe, che gli aveva regalato una gomma per cancellare, ed era divenuto un eroe per il suo amichetto Thomas.
L’Autrice però vuol andare oltre. Si diverte a dipingerlo come uno stratega di azioni sempre perdenti. Uno destinato a vedersi cadere addosso quanto di più grottesco si possa immaginare, che pareva irrimediabilmente destinato ad attirare su di sé.
Finì così per essere mandato dallo psicologo scolastico, che lo liquidò con una frase sibillina, che gli rimase poi sempre impressa e divenne una sua sorta di motto: “Devi ricordare che se senti un rumore di zoccoli ti conviene dire cavallo e non zebra”. Naturalmente lasceremo che sia il lettore a scoprire cosa effettivamente volesse significare quella frase.
Ma proprio sempre perdenti non dovevano essere. Quando crebbe si mostrò ovviamente impacciato e maldestro prima negli studi e quindi nel lavoro, e tuttavia riuscì a collezionare qualche buon successo. Del tutto imbranato era invece rimasto con l’altro sesso. Così il giorno in cui gli parve di poter avere una prima vera storia con una ragazza, se ne allontanò: “Non mi sarebbe dispiaciuto se, quello che lei avesse avuto accanto, fossi stato davvero io e non la proiezione della mia coscienza ferita”.
Forse, più che un vero perdente era semplicemente un altruista, ossessionato dal desiderio di non vivere solo per se stesso, ma di esistere anche per gli altri.
Ecco quindi che, tornando al presente, davanti a quello specchio, Joseph si rende conto di dover cambiare, fare una scelta. Una profonda scelta di vita; in fondo lui aveva sempre preferito le zebre ai cavalli. Così ha uno scatto d’orgoglio e decide finalmente di aprirsi e fare una solenne dichiarazione d’amore a Miley, la ragazza di cui in fondo era da sempre innamorato.
Sin dalle prime pagine questo romanzo si rivela avvincente. La Flam mostra una buona padronanza della scrittura, fresca e giovane. Un testo caratterizzato poi da un sottile e piacevole umorismo; fatto di nonsense ed immagini surreali, che catturano il lettore ed in più di un’occasione lo inducono al sorriso. Lo stesso ritmo della narrazione conquista. E’ garbato, fresco ed incalzante, con capitoli brevi, a volte brevissimi. Così il brano sul matrimonio di Tom, l’amico del cuore del protagonista, che inevitabilmente sarebbe stato più lungo, ci viene proposto suddiviso in ben tre capitoli. Ma quello che più colpisce sono i brani brevissimi. Con uno, dal titolo: Amnesia, che si riduce persino a due righe: “La morte di mio padre rese bianche e impalpabili alcune pagine della mia infanzia”.
Indubbiamente da consigliarne la lettura a chi desideri passare qualche ora di sereno svago e divertimento. Complimenti alla Fiam.

Friday 12 July 2013

La biblioteca comunitaria di Algonquin Island



Un'immagine della biblioteca comunitaria di Algonquin Island (Ontario) con una popolazione di 700 abitanti, ma per la quale la cultura è fondamentale!

Sunday 7 July 2013

Racconti dell’albero secco, storie ambientate tra i colori ed i profumi di Procida


La Melanzana bianca avvizzita

Nel racconto sulla Melanzana bianca, inserito nella raccolta: Racconti dell’Albero secco, narravo di come la signora Filomena, un giorno che era andata nell’orto a raccogliere delle verdure, si fosse all’improvviso trovata di fronte ad una melanzana bianca.
A Procida era assolutamente la prima volta che si era vista una melanzana di quel colore, e lei ne rimase turbata. Se la guardò indecisa per qualche minuto e poi finì per raccoglierla. Tornata a casa, la mise nel cesto con le altre verdure, e finì poi per dimenticarsene.
Un giorno però, che era uscita, all’improvviso le tornò in mente quella melanzana bianca.
Si affrettò quindi verso casa. Ora quella melanzana, visto che erano passati diversi giorni, sarebbe stata tutta avvizzita e molle. La avrebbe buttata nella spazzatura e così sarebbe finita quella storia. Ma quando andò a guardare nel cesto, anche sotto le altre verdure, con sua grande sorpresa, dovette constatare che la melanzana bianca non c’era più. La signora Filomena ne rimase sconcertata:
“Ma quante me ne dovete combinare in questo periodo! Volete proprio spaventarmi? Dove è finita la melanzana bianca?”
Ora saranno circa quindici anni che la signora Filomena non c’è più. A me però è rimasta la curiosità di vedere come avvizzisce una melanzana bianca. E così ne ho lasciata una nel cesto delle verdure per circa un mese.
Ebbene la ritrovai per nulla avvizzita ed ammosciata come quelle scure. Continuava ad essere perfettamente tonda e liscia. Era solo diventata gialla e verso la punta si era coperta di macchie nere.
Sono proprio un frutto misterioso le melanzane bianche.

Thursday 4 July 2013

L'importanza di ridefinire la memoria

Da anni lavoro ad un redispiegamento della memoria. Per far comprendere quanto ciò sia importante, oggi propongo qui la lettura di un passo di Adriana Bevione, da: Memoria, il patrimonio ereditato:

“Prendiamo, ad esempio la parola pane, oggi per un bambino, ma anche per molti giovani ed adulti, questa parola indica solamente un cibo che al pari di tanti altri, concorre alla nostra alimentazione.
Eppure antico è il legame della tradizione popolare con il pane, che si carica anche di significati simbolici, a partire dalla comunanza con lo spirito di comunità, con la vita ed i legami con le origini. Dalla tradizione derivano anche i numerosi anedotti e superstizioni riferiti a chi non porta rispetto per questo cibo che nelle nostre tavole, tranquillamente, sciupiamo”.

Monday 1 July 2013

Gita all'Agawa canyon, lago Superiore (Ontario)

 
Il 27 giugno per il mio compleanno, gita all’Agawa canyon con un piccolo treno, lungo la linea dismessa di un’antica miniera, tra folte foreste e piccoli ridenti laghi. Arrivati al canyon, una passeggiata nel parco alla scoperta di eleganti cascate, della ridente flora e dei daini e scoiattoli che lo abitano. Nel finale una faticosa arrampicata fino al belvedere, da dove si può godere di una superba vista su tutto il canyon.

Wednesday 26 June 2013

Completezza del Mondo

 
Nous ne vivons pas dans un monde achevé, dont nous n'aurions plus qu'à célébrer la perfection. L'idée même de démocratie est toujours inachevée, toujours à conquérir.
Il y a dans l'idée de globalisation, et chez ceux qui s'en réclament, une idée de l'achèvement du monde et de l'arrêt du temps qui dénote une absence d'imagination et un engluement dans le présent qui sont profondément contraires à l'esprit scientifique et à la morale politique. Il nous faut ajourd'hui repenser la frontière, cette réalité sans cesse déniée et sans cesse réaffirmée.
Une frontière n'est pas un barrage, c'est un passage. Les frontières ne s'effacent jamais, elles se redessinent. La frontière a toujours une dimension temporelle: c'est la forme de l'avenir et, peut-être, de l'espoir. Voilà ce que ne devraient pas oublier les idéologues du monde contemporain qui souffrent tour à tour de trop d'optimisme ou de trop de pessimisme, de trop d'arrogance dans tous les cas.
                                                                                    Marc Augé


Tuesday 25 June 2013

Notte al Museo di Castelvecchio


La Sala Reggia del Museo di Castelvecchio a Verona fu ristrutturata ed allestita da Carlo Scarpa agli inizi degli anni ’60 e da allora non venne mai modificata. Ospita 30 opere d’arte, del XIV e XV secolo, tra cui quadri, pale e polittici, due crocifissi stazionali, 6 statue originariamente policrome, un piccolo altorilievo e due frammenti di affresco.  
Mentre di giorno si mostrano impeccabili ai visitatori, la notte appena i custodi chiudono tutto ed inizia il buio, le opere d’arte generalmente si animano. Iniziano a pensare, a ricordare dei tempi in cui le figure rappresentate furono uomini, dei tempi in cui vennero dipinte o scolpite. Iniziano a dialogare tra loro, ad avere anche dotte dissertazioni. 
Le opere si sono date dei soprannomi e sono questi che vengono riportati nel testo. Ovviamente nell’anteprima viene fornita una scheda per ognuna delle opere esposte, con indicazione dell’artista, denominazione, anno o periodo di riferimento, dimensioni, materiale (e tecnica pittorica), numero di inventario, soprannome poi utilizzato nel testo. Scorci della sala ed immagini delle opere sono poi inserite nel testo. 
Il romanzo è suddiviso in 9 capitoli. La vicenda si svolge in un’unica notte di fine marzo e sempre rigorosamente all’interno della Sala Reggia. Il tono varia, a seconda delle situazioni, dal serio al quasi scherzoso. Le opere che parlano adottano in genere un linguaggio un po’ desueto e forbito. Quattro statue, posizionate in semicerchio, usano fare commenti e pettegolezzi in versi.  
Non vi è una particolare trama. Tra i racconti assumono rilevanza quello del Cristo sul periodo non menzionato dai Vangeli, quando (secondo la ricostruzione romanzata) lui si recò in Tibet. Vi sono poi ricordi e casi di temporanea amnesia di alcune opere, sia riferiti a tempi antichi, che al periodo in cui furono dipinte o scolpite. Vi sono infine le espressioni di rammarico per come determinati fatti storici vennero falsati dalla memoria degli umani.  
Vi è una dotta dissertazione sulla forma e struttura del Museo, con ipotesi di tipo scientifico, basate su elaborazioni matematico-algebriche. Ve ne è una su come le opere d’arte si sentono guardate ed apprezzate da custodi e visitatori. Vi sono poi considerazioni varie sulle differenze tra umani ed opere d’arte, ad esempio sul modo di ricordare, sul senso di reciproco rispetto. 
Ma vi sono anche altri avvenimenti. Tra questi assume rilevanza la fine della storia d’amore (per come può determinarsi una storia d’amore tra opere d’arte) tra una pala ed una statua, con le grandi pene di quest’ultima. Vi è poi il forte desiderio di un’opera che vorrebbe fuggire via dal Museo, che si addormenta e sogna tale sua fuga. Vi è infine un curioso ritrovamento che una delle opere fa. Ritrovamento che creerà qualche scompiglio all’interno della Sala. 
Poi la notte finisce e le opere si ricompongono e si preparano ad esser nuovamente ispezionate dai custodi prima dell’apertura. Nell’ultimo capitolo protagonisti non sono più le opere d’arte, bensì i custodi, che in quella specifica mattinata dovranno confrontarsi con un'inquietante scoperta.


 

Monday 24 June 2013

Recensione de: Il segreto di Napoleone di Lara Balercia

     

Fate attenzione o prima o poi finirete per accorgervi di aver visto proprio quello che non avreste dovuto vedere
 
Prima di iniziare un commento sul libro è doveroso proporre un plauso alla giovane Lara Balercia. In un periodo di crisi e di grande crisi dell’editoria, è senz’altro encomiabile che dei giovani provino il desiderio di scrivere, e soprattutto di scrivere con passione, tanto da giungere ad affermare: “Sentivo un bisogno nuovo crescere dentro me: l’esigenza di intraprendere strade difficili, vie che prima mi spaventavano e che mai avrei immaginato di percorrere”. 
A un amante dei musei come me fa poi un gran piacere vedere come il giovanile entusiasmo dell’Autrice l’abbia portata a descrivere, anche con dovizia di particolari e belle immagini, il Louvre e il British Museum. 
Venendo al testo, lo si potrebbe definire una riedizione giovanile, in cui anche il computer gioca la sua parte, di più famosi libri con ricostruzioni fantasiose su vicende del passato, che è qui inutile ricordare. 
Un professore di astrofisica, ormai anziano e malato, casualmente trova tra le pagine di una Bibbia che teneva in biblioteca, lo scritto di un suo antenato, che era al servizio di Napoleone e che lo aveva assistito negli ultimi anni di vita a Sant’Elena. E nello scritto viene detto come in punto di morte l’ex imperatore gli avesse confidato un segreto. O meglio un indizio di qualcosa che doveva essere un importante segreto, costituito da tre gruppi di lettere assolutamente incomprensibili ed in un certo senso insignificanti.  Tuttavia, con l’aiuto di un suo estroso e preparato allievo, esperto di computer e di navigazione in internet, il professore giunge a scoprire che quei gruppi di lettere facevano riferimento alla Sfinge, allo Zed, orologio cosmico simbolo di Osiride ed alla Piramide di Cheope. 
A quel punto non ha dubbi, deve recarsi in Egitto insieme all’allievo, alla ricerca di una seppur remota possibilità di dipanare quella ingarbugliata matassa. Giunti al Cairo i due scoprono realtà inquietanti. Si susseguono quindi belle pagine con descrizione di intrighi, fughe rocambolesche ed omicidi cruenti.
Sullo sfondo una simpatica archeologa francese che si presta a venir loro in aiuto ed un personaggio inquietante e misterioso, l’Innominato.  Le indagini dei due iniziano a dare qualche frutto, in particolare con riferimento alla teoria, secondo la quale l’orientamento delle piramidi rappresenterebbe la Cintura di Orione, fatto che porterebbe anche ad attribuirne la costruzione al decimo-undicesimo millennio prima di Cristo, non da parte degli egizi, ma di un popolo sconosciuto.
Tale primo risultato porta alla individuazione di ulteriori fatti e misteri, quali la connessione tra le Piramdi, il tempio di Angkor in Cambogia e il sito di Tiwanako in Bolivia.  Loro si sono tuttavia troppo avventurati sulla via della scoperta di segreti che non possono essere rivelati. Lo stesso Innominato viene infatti a precisare: “Siamo i custodi di un segreto che nessuno dovrà conoscere, mai. Si tratta di notizie che potrebbero cambiare radicalmente la concezione che l’umanità ha del mondo”. 
Non si può ovviamente rivelare qui il finale del libro, per non gustarne la scoperta ai potenziali lettori. Si può solo aggiungere che Lara Balercia, con un bel salto rocambolesco finisce con il rivelare notizie, che effettivamente nessuno avrebbe dovuto conoscere, e che forse lo stesso Napoleone aveva in qualche modo raccolto. Un segreto violato, che sarebbe stato alla base della sua morte per avvelenamento. 
Un sincero plauso all’Autrice, anche per la sua scrittura fresca e disinvolta.

Lungo week-end all'Agawa canyon

 
Questo fine settimana lungo week-end per festeggiare il mio compleanno, nel Nord dell’Ontario, con il trenino che per quattro ore si inerpica lungo le ripide coste dell’Agawa Canyon, con cascate e vedute mozzafiato.
Il tutto per rifarci gli occhi, rispetto al piattume di tutta l’area di Toronto.

Sunday 16 June 2013

Recensione de: Mister Yod non può morire, di Maria Antonietta Pinna



"Non è facile per me dirvi quello che sto per dirvi, sempre che riesca a dirvelo…”

La prima sensazione che si prova nel leggere questa squisita pièce teatrale di Maria Antonietta Pinna è di ammirazione per la rara padronanza che l’Autrice ha del linguaggio teatrale e delle sue dinamiche. Solo in un secondo momento si viene risucchiati in contrade più recondite, dove troneggiano esoterismo e mito, sapientemente fusi al teatro dell’assurdo ed a Bertold Brecht, come suggerito da alcuni commentatori.
La pièce appare tuttavia impostata per consentire anche un altro tipo di lettura, “più leggera”. Si possono così momentaneamente accantonare le “origini filosofico-culturali” del testo, a partire dai misteri del significato dello stesso nome del protagonista, Yod, nome impronunciabile nella tradizione ebraica, espressione di una potenza soprannaturale e dall’essenza sconosciuta e tremenda.
Il suo ruolo infatti viene qui poveramente ad infrangersi e sgretolarsi, trasformandone la figura in quella di un attonito spettatore di se stesso, “spesso impotente del risultato della sue azioni, assolutamente e drammaticamente eterne”.
Tale accantonamento permette quindi di disvelare una nuova dimensione per il personaggio stesso. Quella della metafora dell’uomo che non è mai soddisfatto del suo stato, anche eccezionale come quello di un essere immortale, e che sogna una diversità dal sé.
Ma che poi quando la raggiunge quella diversità, ha come un moto di ripulsa e vorrebbe tornare alla sua condizione primigenia. Una metafora di chi è in perenne attesa di qualcosa che deve accadere, che gli deve capitare, per renderlo finalmente felice, per far sì che non rimanga a consumarsi inutilmente la vita, come lo si è potuto riscontrare in tanti esempi letterari, dal Giardino dei Ciliegi allo stesso Deserto dei Tartari, tanto per proporre qui due esempi. Con la differenza però, come detto, che lui quando finalmente lo incontra (il nemico del tenente Drogo), ne prova ripulsa. E vorrebbe rifugiarsi nel ventre della balena, come il Don Geppetto di Pinocchio, che vi si trovava bene, ed in fondo era ben lieto di rimanersene al calduccio.
Ovviamente per la Pinna quella balena non potrebbe che rivelarsi come un essere dalle proprietà e virtù simili a quelle dello stesso Yod, ovvero un essere mitico ed immortale, legato alla leggenda di Sedna, nota tra gli Inuit qui del Canada come Nuliajuk, la donna-pesce, anch’essa come Yod sottratta alla legge ineludibile del divenire.
Sempre secondo tale tipo d’interpretazione, il lettore viene quindi accompagnato in una dimensione, certo ancora surreale, ma più delicata, più intimista. E’ come se gli venisse offerta la possibilità del lasciarsi giusto cullare, come in una nenia, dalle splendide sonorità dei dialoghi privi di senso dei familiari di Yod, che sembrano prender vita dall’ultima parola pronunciata dal precedente interlocutore, e proposti in un contesto totalmente nuovo e privo di senso: “Davvero sei così pigro?”; “In compenso ho l’intestino pigro”; “Io in compenso ho la gamba pigra, reumatica”; “Io ho una moglie pigra e un figlio pigro”; “Io ho soltanto un fegato, ma pigro pure lui”. Od ancora: “Ma tu chi sei?”; “Non lo so e tu?”; “Io cosa?”; dialoghi tutti recitati in sequenza dai vari attori, come in un canto a cappella. Oppure quella di assaporare la deliziosa recitazione delle qualità dello stesso Yod, tutte espresse al negativo, da “ineffabile, insuperabile”; a “incancellabile, insostituibile, incoercibile, imperscrutabile”; e dove troneggia, sola eccezione, la lista: “improponibile, inammissibile, inopinabile, propinabile, insensibile!”, con quell’aggettivo “propinabile”, sul quale non ci si può che soffermare, incuriositi. Un semplice refuso sembra non ragionevole, data la raffinatezza dell’Autrice. E allora?
A prescindere da questo ultimo inciso, si tratta di sonorità che giungono a catturare e trasportare il lettore (o lo spettatore immaginando la pièce andata in scena) in altri mondi, immateriali, anche se non metafisici. Solo a tratti, in una situazione di “noia universale e ciclica” si è riportati sulla terra, tra gli uomini della nostra epoca sciocca ed insulsa, quella dell’Italia nostrana, con “la televisione che non cambia, ed i politici peggio”; con i riferimenti a deputati, a raccomandati, ad escort, a soprusi e raggiri, tutti sempre eternamente uguali. “Cambiano facce, colori, forme, nomi, ma non cambia niente in realtà”.
E parimenti il lettore viene come invitato a percorrere le pagine in cui appaiono le due figure allegoriche del testo: Paracelso e Don Abbondio (cui Yod si rivolge in cerca di soluzione al problema che lo affligge), avendo alla mente più che Jonesco, gli abitanti dei pianetini de: Il Piccolo Principe. Si guardi al tal proposito al suo dialogo con l’ubriacone: “«Perché bevi?» chiese il Piccolo Principe. «Per dimenticare», rispose l’ubriacone. «Per dimenticare che cosa?» s’informò il Piccolo Principe che cominciava già a compiangerlo. «Per dimenticare che ho vergogna», confessò l’ubriacone abbassando la testa. «Vergogna di che?» «Vergogna di bere»”.
Ed a coronamento del tutto, viene invogliato a non sottrarsi al puro godimento estetico dei geroglifici, scritte cabalistiche, simboli esoterici, proposti all’apertura del secondo Atto. Non ha che da percorrerli con lo sguardo e gustarseli come semplici eleganti elementi di effetto scenico.
In conclusione, mentre non si possono che condividere i commenti di Alfonso Postiglione o di Cinzia Baldini, cui si rimandano gli interessati alla “visionarietà in letteratura”, questo testo sorprende per la sapiente capacità di offrirsi anche ad un pubblico più vasto.
E mentre si raccomanda a tutti la lettura di questo bel lavoro teatrale, non si può che augurarne di cuore all’Autrice una prossima andata in scena.

Wednesday 5 June 2013

Recensione de: Il forgiatore di spade, di Elodia Saetti

La spada di Bran si librò nell’aria e s’abbatté su quella dell’avversario, tagliandola di netto.
 
Dopo il suo bellissimo romanzo: Lo sguardo di Daithé, Elodia Saetti ci propone ora un nuovo testo sul mondo Celtico: Il forgiatore di spade, ambientato nella Britannia del sud, in prossimità di Stonehenge, presso la tribù realmente esistita degli Ancaliti.
Lei è un’attenta studiosa di quei popoli e ancora una volta ci offre un affascinante affresco sui loro usi e costumi, dal ruolo dei druidi e dei sacrifici umani, alle lotte di potere ed ai sistemi di vassallaggio e servitù, fino a dettagli sui loro insediamenti, il loro cibo e le loro vesti. In entrambi i libri è costantemente latente il senso dell’incombente tragico destino che avvolge quei popoli. Un destino di annientamento e scomparsa.
Vercingetorige, eroe del primo romanzo, venne sconfitto dai Romani, ed il popolo degli Ancaliti della Britannia verrà annientato, in questo secondo libro, sia per effetto di sanguinose guerre con i popoli confinanti, che per insidiose faide interne, così che andrà per sempre perduto il mondo dei loro antichi saperi. Quei saperi, che i loro adepti traevano dalla magia dei Cerchi di pietra e dalle riverberazioni del Lago sacro, e che in periodi più felici avevano permesso agli iniziati del loro popolo, di liberarsi dell’incapacità che normalmente abbiamo, di poter vedere oltre l’apparenza.
Di quei saperi che avevano permesso a Fintan, druido e fabbro ad un tempo, di forgiare una spada magica, con il metallo venuto dal cielo, dopo esservi stato adeguatamente istruito dalla giovane veggente Aisia: “Solo così potrà nascere una spada in grado di superare le cortine del tempo.
Solo ascoltando il canto del metallo, assecondandolo, piegandosi al suo desiderio. Un’unione che legherà alla materia la tua stessa forza, imprigionando la natura dell’uomo in quella del ferro, forgiandola in armonia con ciò che ti circonda”.
Destino però crudele il loro. Fintan ed Aisia si erano infatti innamorati, ma lei stessa aveva predetto: “Questo è il mio pegno d’amore - concluse in un fiato, le gote che s’imporporavano. Poi aggiunse - E la risposta alla tua domanda è: no. Non può un druido innamorarsi di una donna delle fattorie. E nemmeno il contrario”.
Dicevo destino tragico quello dei popoli citati nei due romanzi. Ma la Saetti, in questo secondo libro, ci offre uno spiraglio di speranza e di riscatto.
L’anziano druido Priyos, dalla veste e dai capelli bianchi che ci ricorda Merlino, ormai in punto di morte, scaglia lontano la spada magica forgiata da Fintan, con la sua elegante elsa incastonata di corallo, e quella va ad infiggersi profondamente in una roccia nel folto della foresta.
Nulla ci viene detto dall’Autrice, ma si comprende che quella sarà la spada che poi Artù riuscirà ad estrarre dalla rigida pietra, dando avvio ad un nuovo regno, ad un nuovo momento di gloria per le genti del sud della Britannia.
Va detto infine che alla bella trama si aggiunge, a rendere prezioso ed avvincente questo libro, l’eleganza e la raffinatezza del testo, contrassegnato anche da un ritmo incalzante quando si narra di battaglie od intrighi, solenne quando si descrivono cerimonie e sacrifici propiziatori, tenero e delicato quando si disvelano scene d’amore e di sesso.
Molto bello e pulito, è ad esempio il racconto dell’amplesso adultero di due amanti, immersi nell’acqua di un fiume. Caratteristiche queste del testo, che invitano ad ogni passo a proseguire senza soste nella lettura.
Un libro che decisamente non dovrebbe mancare nella biblioteca, non solo degli appassionati del genere.

Tuesday 4 June 2013

Recensione de: Endecasibillini, di Gian Luigi Bonardi

Un cantico d’altri tempi: le ragioni del pensiero nella sfera dell’ignoto

Personalmente non sono molto attratto dai libri di poesie. Li sfoglio, certo, ne leggo qualche brano, ma poi generalmente mi fermo. E’ raro che io arrivi sino alla fine.
Vi sono tuttavia situazioni come quella di questo libretto, “Endecasillabini”, di Gian Luigi Bonardi, che subito catturano la mia attenzione: “Non incolpare l’ago nel pagliaio,/ sposta le pietre che stanno più a monte/ e scoprirai come uscire dal tuo guaio”.
Si tratta di versi lievemente surrealisti, che richiamano alla memoria filastrocche per bambini, quali: “La zanzara senza zeta” che viveva a Zara, anzi vi languiva, ma non si azzardava a succhiar sangue, di Toti Scialoja. Forse irrazionalmente sono poi attratto dalla vicinanza ed associazione tra versi ed immagini, e sono morbidi, bellissimi, a volte quasi inquietanti, gli scatti dell’Autore, qui proposti.
Citavo Scialoja, ma nel caso di Bonardi adulti e non bambini sono i destinatari di queste filastrocche. Qui come deliziosi nonsense dalle suadenti sonorità abbiamo infatti: “Un rauco grido/ desta interesse e tanto di cappello”; o: “Passa nel serio guanto dei minuti”, od ancora: “Starai sicuro/ con spirito eccellente, e senza danno”.
I versi che mi hanno più colpito sono in ogni caso: “Un tailleur nero e i pattini a rotelle/ raccontano d’un ieri spensierato,/ ma ora son cresciute le sorelle/ ed il buffet col tempo s’è svuotato”, per il loro saper dar voce anche agli oggetti, che vengono qui umanizzati e rimandano ad un’infanzia spensierata e felice.
In conclusione versi anche ben costruiti quelli di Bonardi; ottave di endecasillabi a rime alternate, ben costruiti e con le giuste accentuazioni, che testimoniano di una buona padronanza della lingua e della ritmica poetica.
Certamente lettura da consigliare a chi ami il genere ed a chi sia attratto da lettura soffice ed irrazionale, seduto in una comoda poltrona, e sappia lasciarsi piacevolmente trasportare da spensierati aforismi e parole in liberà.

Saturday 1 June 2013

Video della presentazione a Verona, il 18 maggio, del libro: Notte al Museo di Castelvecchio

Presentazione del libro di Fabrizio Ago: Notte al Museo di Castelvecchio, in occasione della Notte dei Musei 2013 (18 maggio), nell'omonimo Museo a verona, sala Boggian, ore 21.30, con la partecipazione di Paola Marini, direttore del Museo, Alba di Lieto, studiosa di Carlo Scarpa, e dell'Autore.
Al termine della presentazione, visita guidata alla Sala Reggia ed alle splendide opere che vi sono esposte.

Monday 13 May 2013

Annuncio delle iniziative per la Notte dei Musei, con la presentazione del mio libro: Notte al Museo di Castelvecchio

Manifesto delle iniziative per la Notte dei Musei 2013 a Verona. Tra queste, riporatat alla terza Colonna in basso, la presentazione del mio libro: Notte al Museo di Castelvecchio.
Cliccare due volte sull'immagine per ingrandirla.


Thursday 2 May 2013

Recensione de: Algoritmi di Capodanno, di Stella Stollo

Seguire una scia di segnali, che solo apparentemente sembrano coincidenze, per raggiungere nell’ultimo giorno dell’anno il risultato perfetto, proprio come in un algoritmo

Spigliata, allegra, subito cattura l’attenzione del lettore e lo coinvolge per la sua simpatia, Cinzia, l’io-narrante di questo breve romanzo di Stella Stollo. Lei ha appena compiuto quarant’anni ed ogni tanto si sperde in riflessioni sulla sua vita, come a volerne trarre un senso, senza tuttavia avventurarsi in veri e propri bilanci di mezza età. Si sente ancora bella ed attraente, anche se alcune maledette rughe iniziano ad indicare il passare degli anni.
Ha un bel lavoro, che la soddisfa, è art-director in una enolibreria di Orvieto, un “locale abbastanza stravagante, con libri, vini e salse, quadri, sculture, caffè e bibite”. E’ anche una discreta sommelier.
Ma è anche single, essendosi lasciata alle spalle un penoso divorzio. A tratti si sente sola, drammaticamente sola. Per tirarsi su si fa regali gratificanti; si dedica all’arte, per lei godimento puro come l’estasi dei santi medievali. Legge a letto fino a tardi, “riscaldata e coccolata dalla seta lucida rossa del copripiumone nuovo, mentre le gocce tintinnano sui vetri”. Si rannicchia sul “morbido divano con sopra il caldo plaid a fiori davanti al caminetto acceso, accanto al tavolino su cui ha appoggiato tutti i libri nuovi, vicino alla vetrinetta dove tiene quel passito di Sagrantino… che intenso piacere fisico e spirituale”.
Ma ora ha deciso, si avvicina il capodanno e lei lo passerà con un uomo! Ha studiato matematica e si è molto interessata a come sia il cosmo che la natura siano regolati da formule matematiche ed algebriche. Passerebbe ore a cercare la geometria segreta nascosta nel “caos di luci delle stelle”, o le varianti della doppia spirale del DNA, e quella che rende così gentile e geniale la disposizione dei semi nel girasole. Per non parlare delle piramidi e di tanti edifici monumentali del passato, le cui forme sono ispirate alla serie di Fibonacci ed alla sezione aurea. Per non ricordare infine lo stretto rapporto tra pensiero scientifico, arte e musica. Sì, anche il jazz e non solo la musica classica.
La intrigano soprattutto i frattali e gli algoritmi che li sottendono; quelle figure che si ripetono nella loro struttura, sino all’infinito, su scale diverse; quei procedimenti meccanici di calcolo, con le loro sequenze ben precise di operazioni logiche ed algebriche.
E’ quindi quasi scontato, per lei, cercare un piano cosmico ben ordinato, “in cui far rientrare il piano della sua esistenza”. Di conseguenza anche quell’uomo, che dovrà manifestarsi, per consentirle di mettere un fine al suo attuale e noioso stato di single, non potrà che essere individuato tramite un’attenta lettura delle sue proprie figure geometriche. Anzi è convinta di avere nel suo DNA un algoritmo, che quell’uomo lo ha già selezionato e definito. Si tratta solamente di riuscire ad individuarlo, a leggerlo quell’algoritmo.
Si accorge poi di alcune strane coincidenze. Una band che deve venire a suonare nell’enolibreria si chiama Algorithm; il pittore per il quale deve organizzare una mostra dipinge frattali; un poeta cui sarà dedicata una speciale serata di letture le lascia scivolare delicate poesie nelle tasche del soprabito, che sembrano leggerle nel pensiero: “Assaporo l’oblio dell’oscurità./ Regalami un oblio più profondo/ e fammi volare verso ciò che non è/ e che sarà”. Si tratta di semplici coincidenze? Sarà uno di questi l’uomo dei suoi algoritmi? Come raccapezzarcisi?
Il capodanno si avvicina poi inesorabile. Le stelle le dicono che per lei è venuto il momento di agire d’impulso. Ricorre così anche ai Yi Ching, altra pratica che la affascina, per i responsi che tramite i suoi esagrammi sono “come dei lampi intuitivi che sollecitano l’emisfero cerebrale destro e lo aiutano a percepire una data situazione in tutte le sue sfaccettature, anche quelle invisibili”.
La risposta è che “i tempi in cui qualcosa nasce hanno molte difficoltà… Tutto sta muovendosi; nonostante la presenza del pericolo, vi è la prospettiva di un grande successo”. Probabilmente è l’inconscio della persona con cui vuole entrare in contatto a parlarle. Bisognerà darsi da fare, sarà necessario scalare la montagna.
Il finale non potrà stupirci. Cinzia con i suoi pensieri, a volte in libertà, a volte appena accennati, per tutto il romanzo non ha fatto che indicarceli gli algoritmi che segnalano l’uomo giusto per lei.
Molto ben scritto, con una prosa fresca e coinvolgente. Avvincenti le riflessioni sulla geometria del creato, con approfondimenti come quello sulla struttura del Nautilus. Piacevoli le citazioni estemporanee, quali quella dell’idea di “musica automatica” che aveva avuto Mozart; e poi le raffinate poesie che arricchiscono il testo, e che sono dei veri gioielli: “La ragazza orlava la veste della luna/ di bianchi merletti./ Diventerò indifferente per poterti ferire/ il giorno che ci rincontreremo./ La ragazza ritagliava figure d’omba/ seduta sul letto”. Complimenti vivissimi alla Stollo.