Monday 24 November 2014

Recensione de:

Di Pietra e di Luna di Nadia Bertolani

Lo spazio desiderato di un buio che pullulava di ombre ammiccanti…
 
La vicenda narrata in questo libro di Nadia Bertolani si disvela lentamente, come l’immagine di un puzzle, che sorprendentemente prende forma e sostanza in un angolo, in una parte più centrale della composizione, con l’integrarsi e l’incastonarsi progressivo delle tessere. Non ha certamente la struttura di un thriller; intende allora proporsi come un viaggio introspettivo iniziatico? Forse nulla di tutto questo. La stessa autrice mette in guardia il lettore, riportando in premessa una citazione di Fernando Pessoa: “Il poeta è un simulatore/ …”.
E poi come respirare le brevi composizioni che aprono i capitoli? Versi criptici, avvolti, quasi sino alle ultime pagine, da una sottile nebbia: “ma non per me./ Per me/ qualcosa che si infittisce impercettibilmente,/ appena più chiuso e impastato, ma ancora inconsistente”; che poi si scopre essere pronunciati da una sorta di “io-narrante”.
La narrazione si fa quindi concreta. Due fratelli, Luca e Antonia, che da bambini e poi adolescenti erano stati molto legati, si ritrovano dopo anni nella città immaginaria di Mavezia, che a tratti si è indotti ad identificare nella elegante Venezia delle calli e dei canali, a volte in una sua squallida periferia.
Lui, è un eterno indeciso, ossessionato da “strane presenze di cui la mente registra il ronzio frenetico e incessante”. Solo l’amore di una fidanzata molto concreta, riuscirà alla fine a salvarlo. Ma è anche dotato di rara capacità di analisi. E sarà lui, in conclusione del romanzo, a completare il puzzle di cui si diceva, e che tiene il lettore costantemente incollato alle pagine.
Lei sembra quasi il suo opposto: “Contrariamente a lui Antonia non è mai passata inosservata. E’ sempre stata esuberante sua sorella”; e soprattutto di indole ribelle, sempre in fuga. Nulla riesce a frenarla, trattenerla, anche adesso che è rientrata da Monaco di Baviera (dove ha vissuto per otto anni), portando con sé il figlio avuto con un farabutto che l’ha lasciata appena lei rimase incinta. Nulla, nemmeno il fatto che il bambino sia affetto da sindrome di down; il bambino che lei ha chiamato Anapi, come “un piccolo ragazzo indonesiano che aveva conosciuto nel suo andare, un ragazzo con cui aveva dormito una notte umida di rugiada, l’unico con cui non avesse fatto l’amore sotto la luna…”.  
Sullo sfondo un ambiguo e torbido scrittore di fama, che deve il suo successo ad un libro in cui curiosamente vengono narrate vicende, non inventate, ma che trovano riferimento in fatti concreti e che destano, fanno riaffiorare ricordi sopiti nei due fratelli. Misteriosamente lo scrittore viene poi ucciso, senza che peraltro il racconto si tinga di giallo. Anche se nel lettore rimane la curiosità di capire chi effettivamente sia stato a sparargli… O forse la Bertolani intende lasciare al lettore la possibilità di darsela lui una risposta.
Il tutto descritto con stile elegante, raffinato, mai incline alla ridondanza, anzi pacato e sobrio, che sin dalle prime pagine coinvolge quasi amichevolmente. Un libro che molti dovrebbero avere nella loro libreria. Complimenti vivissimi a Nadia Bertolani.

Wednesday 19 November 2014

Piccole storie, quasi comuni di Fiorella Mazza

Recensione


Dove c'è colore è amore!

Molto coinvolgente questa raccolta di “Brevi storie” di Fiorella Mazza, scritte con tono asciutto e pacato, che non concede spazio a digressioni, e ad immagini troppo fantasiose: “ In quei momenti di socialità, la durezza spariva dai loro volti appena sbarbati, sorridenti, ben disposti, al cospetto di una partita a scopone”; oppure: “Il bello era il balcone, minuscolo, dal quale al mattino scorgeva l’orizzonte: era uno di quei momenti speciali, nel quale metteva in atto la sua capacità di spingersi con la mente lontano”.

Si tratta di storie di grandi solitudini, come nel caso di Arturo, che visse cent’anni, dopo aver avuto “una esistenza terrena agiata e in apparenza tranquilla, ma priva di sentimenti profondi e durevoli, a causa della sua scarsa capacità di comunicare”; o con i protagonisti che riuscivano ad avere come compagni solo delle ombre o delle macchie su di un muro. Storie spesso di semplice dolorosa quotidianità, con figure “complicate, mai contente, guardinghe”, a volte perdenti, come Gaia, che aveva “la sensazione di essere sbagliata in tutto”;  o Sabatino che riuscì ad instaurare un vero rapporto affettivo solo con un cane sperduto; ma anche di cupa tragedia come nel brano sull’innocente condannato a trent’anni, che i carabinieri portarono via dall’aula di tribunale, “senza aspettare che lui staccasse la spina ai pensieri assillanti che non avevano smesso di frullargli dentro”.

Non sarebbe però corretto limitarsi a questi aspetti dolorosi. Si tratta infatti anche di storie intrise di grande delicatezza, come in quella della bambina down, sui cui bei capelli biondi era venuta a posarsi una farfalla azzurra; o di narrazioni velate di un sottile sentimento consolatorio. Un caso merita di essere citato da questo punto di vista: quello della signorina Rosa, che finì per presentarsi “nella sua forma più splendente, rendendo soffice e trasparente la sua chioma, e profumandosi di mughetto” e che prese a raccontare dolci storie al piccolo Emilio, mai nato, per farlo addormentare sereno.

Personaggi poi non sempre perdenti, ma anche pragmatici, rassicuranti, come Piera, con notazioni anche di pura positività: “A zero i tristi pensieri, niente segno di rassegnazione, soltanto la gioia del presente!” O come il piccolo Fabrizio, che cresceva sano e forte, pur avendo un grave handicap, e che improvvisamente guarì, per l’affetto che provava nei confronti di un ragazzo down e di alcuni immigrati di colore.

Storie, infine, tutte introdotte da brevi poesie, che ne anticipano il senso: “Ombre/ che percepisci vicine,/ poi s’allontanano…”; “neppure so,/ come avrei voluto/ fossi stato”; e soprattutto storie per nulla scontate e certamente non stucchevoli. Un libro avvincente, ben scritto e soprattutto da leggere tutto d’un fiato. Vivi complimenti a Fiorella Mazza.