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Sono da sempre stato affascinato dalla lettura e dalla scrittura; il mio lavoro mi lasciava tuttavia modesti margini da dedicare ai libri. Nel corso di tutta la vita professionale, ho quindi praticamente prodotto solamente manuali, dispense universitarie, testi monografici su siti archeologici o su musei. Poi mi è venuto il desiderio di dedicarmi ad una scrittura “più leggera”.
Sono così nati i miei libri del periodo in pensione, in cui sempre il museo gioca un ruolo da protagonista.
E’ così nata dapprima una ricerca bibliografica su come il museo viene raccontato nei romanzi, nelle cronache di viaggio, nelle pièces teatrali. Che splendide giornate ho passato in biblioteche per questo. Sono poi seguiti due libri di ricerca ed interpretazione degli atti delittuosi che sempre più di frequente vengono commessi all’interno di musei, ben oltre quello, diciamo tradizionale. del furto di opere d’arte, e che vanno dall’omicidio, alle intimidazioni mafiose, allo stupro, al traffico di droga, alla rapina dei visitatori.
La televisione e la stampa ci hanno abituato ad interminabili reportages sui fatti di cronaca, spesso eccessivi ed invasivi della privacy. Ma se il delitto riguardava un museo, allora gusto un trafiletto di poche righe. Ho così iniziato non solo a chiedermene la ragione, ma anche a provare a proporre una ricostruzione della dinamica di quei delitti.
E nel raccontarla mi piaceva in particolare immaginare che i musei fossero in qualche modo in grado di comunicare con degli umani, dotati ovviamente di una particolare sensibilità. Uffizi che cerca di salvare ragazza aggredita. Ma poi nei bagni non riesce ad intervenire.
In un altro brano mi è piaciuto raccontare di un museo che, attraverso il dialogo, riesce a curare una ragazza anoressica.
Ma ancora non ero del tutto soddisfatto. Era alle opere esposte nei musei che avrei voluto dar vita.
Cercare di cogliere cosa loro provino, sentano, come guardino a noi umani, se con simpatia o con distacco, se con senso di complicità od all’opposto di grave disagio.
Pur rimanendo nell’ambito dei musei, ho seguito in fondo come una sorta di percorso di progressiva emancipazione rispetto alla saggistica pura. Di conseguenza Notte al Museo di Castelvecchio può a tutti gli effetti essere considerato il mio primo romanzo.
Ultimamente mi sono infine dedicato a due raccolte di brevi racconti, dedicati a tutti I bambini d'Italia, che un giorno possano trovare, ed anche contribuire a costruire, un Paese migliore di quello che oggi stiamo loro lasciando.

Scheda particolare di: Notte al Museo di Castelvecchio
Fare un doppio click sulla scheda qui sotto, per ingrandirla e leggerla:


Sinossi


La Sala Reggia del Museo di Castelvecchio a Verona fu ristrutturata ed allestita da Carlo Scarpa agli inizi degli anni ’60 e da allora non venne mai modificata. Ospita 30 opere d’arte, del XIV e XV secolo, tra cui quadri, pale e polittici, due crocifissi stazionali, 6 statue originariamente policrome e due frammenti di affresco.
Mentre di giorno si mostrano impeccabili ai visitatori, la notte appena i custodi chiudono tutto ed inizia il buio, le opere d’arte generalmente si animano. Iniziano a pensare, a ricordare dei tempi in cui le figure rappresentate furono uomini, dei tempi in cui vennero dipinte o scolpite. Iniziano a dialogare tra loro, ad avere anche dotte dissertazioni.
Le opere si sono date dei soprannomi e sono questi che vengono riportati nel testo. Ovviamente nell’anteprima viene riportata una scheda per ognuna delle opere esposte, con indicazione dell’artista, denominazione, anno o periodo di riferimento, dimensioni, materiale (e tecnica pittorica), numero di inventario, soprannome poi utilizzato nel testo. Scorci della sala ed immagini di alcune opere sono poi inserite nel testo.
Il romanzo è suddiviso in 9 capitoli. La vicenda si svolge in un’unica notte di fine marzo e sempre rigorosamente all’interno della Sala Reggia. Il tono varia, a seconda delle situazioni, dal serio al quasi scherzoso. Le opere che parlano adottano in genere un linguaggio un po’ desueto e forbito. Quattro statue, posizionate in semicerchio, usano fare commenti e pettegolezzi in versi.
Non vi à una particolare trama. Tra i racconti assumono rilevanza quello del Cristo sul periodo non menzionato dai Vangeli, quando (secondo la ricostruzione romanzata) lui si recò in Tibet. Vi sono poi ricordi e casi di temporanea amnesia di alcune opere, sia riferiti a tempi antichi, che al periodo in cui furono dipinte o scolpite. Vi sono infine le espressioni di rammarico per come determinati fatti storici vennero falsati dalla memoria degli umani.
Vi è una dotta dissertazione sulla forma e struttura del Museo, con ipotesi di tipo scientifico, basate su elaborazioni matematico-algebriche. Ve ne è una su come le opere d’arte si sentono guardate ed apprezzate da custodi e visitatori. Vi sono poi considerazioni varie sulle differenze tra umani ed opere d’arte, ad esempio sul modo di ricordare, sul senso di reciproco rispetto.
Ma vi sono anche altri avvenimenti. Tra questi assume rilevanza la fine della storia d’amore (per come può determinarsi una storia d’amore tra opere d’arte) tra una pala ed una statua, con le grandi pene di quest’ultima. Vi è poi il forte desiderio di un’opera che vorrebbe fuggire via dal Museo, che si addormenta e sogna tale sua fuga. Vi è infine un curioso ritrovamento che una delle opere fa. Ritrovamento che creerà qualche scompiglio all’interno della Sala.
Poi la notte finisce e le opere si ricompongono e si preparano ad esser nuovamente ispezionate dai custodi prima dell’apertura. Nell’ultimo capitolo protagonisti non sono più le opere d’arte, bensì i custodi, che in quella specifica mattinata dovranno confrontarsi con un'inquietante scoperta.
 

Per vederne il booktrailer:

 

 

Per leggerne un'anteprima

 

Interviste fattemi su questo libro:


Intervista di RadioVortice - Febbraio 2013.
Intervista di Roberta Strano - Luglio 2013.

Una recensione al libro, di Elodia Saetti:


"Notte al Museo di Castelvecchio” sembra nascere da almeno due grandi amori: l’amore per i musei, e le opere d’arte in essi contenuti, e l’amore per la cultura: una cultura per nulla sfacciata, che non fa sfoggio di se stessa (non ne ha necessità), ma emana con disinvoltura da ciò che è sua culla naturale, la sala di un museo, una sorta di “luogo consacrato”, dedicato a conservarla e proteggerla.
E, assieme alla cultura, quasi fosse un sinonimo, si percepisce la bellezza, che esprime se stessa in due semplici concetti: “armonia” e “equilibrio”, esteriore, ma soprattutto interiore. Forse è questo ciò che più si respira lungo tutto questo romanzo di Fabrizio Ago, nel quale le opere riunite da Carlo Scarpa, all’interno della Sala Reggia del Museo di Castelvecchio (Verona), divengono protagoniste e animano con le loro riflessioni e i loro racconti le sue belle pagine.
Il garbo del dialogo, il piacere del confronto, i piccoli screzi dovuti alla convivenza, persino gli amori di lunga data che iniziano ad incrinarsi, tutto parla di equilibrio, in un gioco di alti e bassi, un rincorrersi di aneddoti che non è mai incalzante, ma sempre proposto come stimolo di riflessione. In questo concreto equilibrio, i confronti fra opere d’arte fanno inevitabilmente da specchio ad una realtà che diviene “brutta copia” di quella che anima le notti fra le pareti della Sala Reggia, una società “esterna” sulla quale le opere d’arte non possono fare a meno di interrogarsi. E gli interrogativi di ciascun personaggio, che prende vita dalla pittura o dalla pietra che lo raffigura, e che osserva e commenta con lo sguardo del suo tempo, divengono gli interrogativi di chi legge, spunti per affrontare concetti talvolta, o troppo spesso, dati per scontati: un micro-cosmo che vive di vita propria, isolato, ma, proprio per questo, con una sua intrinseca purezza e ingenuità.
Ecco così che i grandi interrogativi, che da sempre fanno seguito al percorso dell’uomo nella storia, qui prendono una nuova forma, talvolta ironica, sottolineati dal contrappunto a quattro voci, tassativamente in gustosissimo vernacolo, delle “quattro Nobili Dame”. Come quando i due “Dotti Messeri” ipotizzano, sulla base di formule matematiche note al tempo della loro vita, la loro collocazione all’interno del museo, e del museo all’interno della città, evocando antichi e filosofici interrogativi.
Oppure il racconto del “Domine Gesù”, che narra dei suoi anni trascorsi presso la “Montagna Sacra”. O ancora le disquisizioni sul ruolo della donna nelle Sacre Scritture, che prendono spunto dal concetto di sottrazione degli eventi dalla storia, operata dalle scelte dell’uomo.
Ogni personaggio ha tre vite: quella dell’opera che ha preso forma dalle mani dell’antico artista, quella realmente vissuta da colui è vi è raffigurato, e l’ultima, quella che sta vivendo nelle pagine di questo romanzo, all’interno della Sala Reggia del Museo di Castelvecchio, una vita resa eterna dall’arte. Il tutto narrato in un linguaggio lievemente aulico, il “loro” linguaggio, il linguaggio del loro tempo, un linguaggio prezioso per un’opera preziosa come quella di questo abile autore: Fabrizio Ago.



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