Tuesday 30 July 2013

Un'immagine del monastero sperduto di Mar Mousa a Nebek in Siria, dove viveva ed operava padre Paolo Dall'Oglio, prima di venir espulso dal paese! E quindi il mio incontro con padre Dall’Olio all’ingresso del complesso, nel febbraio 2001, quando impostammo un programma di Cooperazione sul dialogo interculturale ed interreligioso, da organizzare proprio al monastero. Che bella persona e quante speranze avemmo allora sulla possibilità di far avvicinare cristiani e musulmani!

Recensione de: Aurelia Di', di Carmela Fiorella Mazza

Cecile ti ha amato come tu pretendevi, avendo annullato la sua natura di donna e i suoi desideri…

Merita simpatia e rispetto una signora di una certa età, che dedica un libro al suo splendido nipotino. Fin dalle prime pagine “Aurelia Di” risulta poi scritto con garbo e prosa coinvolgente. Ho così deciso di leggerla questa sua sagra familiare. Ci troviamo nella Sicilia dell’immediato dopoguerra dove vivono, in una splendida villa, i conti d’Albano, con la madre Cecile, irlandese, che “porta scolpita nel volto una dolcezza unica, rassicurante”. Loro sono dieci figli e la protagonista, Aurelia, un io-narrante, ripercorre le loro vicende, da quando erano bambini, ad un oggi, in cui i fratelli si ritrovano tutti insieme, dopo dieci anni di separazione. Tanti ne sono infatti passati da quando loro, fratelli, ancora vivevano insieme in quella casa. Lei vuole essere la prima a giungervi, ed ecco che i ricordi le si affacciano lievi, ma anche prepotenti alla memoria. Si susseguono così piccole scene di vita quotidiana nella grande casa austera, dove regna una severa disciplina, ma anche l’ombra amorevole e vigile di Mara, la vecchia governante, “donna senza tempo, antica nelle forme e nel portamento”. Quando lei ha dodici anni, la madre, già debole di costituzione, anche per la fatica delle tante gravidanze, si ammala e lentamente muore. In famiglia nessuno però parlerà mai di quell’evento: “Era come se ognuno di noi avesse preferito elaborarlo nella solitudine della propria anima”. Poi i ragazzi crescono e iniziano una nuova vita. Una sorella si sposa, con la benedizione di tutta la famiglia, mentre un fratello si fidanza con una ragazza di origini brasiliane, che proprio non piace al padre, tanto da vietare alla coppia di farsi rivedere da lui. Un padre padrone, sempre preda dei suoi pregiudizi. Crescendo, Aurelia prova stani turbamenti nei confronti del fratello gemello Gianni. Li attribuisce al suo passaggio verso l’età adulta. “Mi prese una sorta di desiderio strano, dal quale ero già fuggita altre volte, e che mi aveva destato sgomento. Mi sentivo naturalmente attratta da lui, come la calamita a contatto col ferro”. L’altra sorella, Marinella inizia invece ad allontanarsi inspiegabilmente da lei. Vi è anche un altro fatto che viene a turbare la ragazza. In più di un’occasione si accorge di essere spiata, seguita per strada da una barbona, una strana figura femminile tutta avvolta in un grande manto. Ne è turbata, indispettita. La famiglia continua in ogni caso a vivere serena e unita. Alcuni fratelli si sposano, pur continuando a vivere nella grande casa, ed iniziano ad arrivare i primi nipotini. Solo alcuni, per lavoro o per proprio desiderio, vanno a vivere lontano. Poi il padre muore e tra i fratelli iniziano i primi veri dissidi, per questioni ereditarie. Subentra infine un tracollo finanziario per alcuni di loro. Anche all’interno delle nuove coppie iniziano le tensioni. Quanto ad Aurelia, nel frattempo lei è andata a lavorare alla biblioteca comunale. Ma finirà per incontrare anche lei l’amore? E lo strano atteggiamento della sorella, ed il mistero della barbona che la segue? Le risposte a queste domande non possono ovviamente che essere lasciate alla scoperta del lettore. Giunge infine la malattia del primogenito, e il timore che possa andarsene anche lui porta i fratelli ad accantonare almeno momentaneamente i reciproci dissapori ed a riunirsi ancora una volta tutti nell’antica casa. Certamente un libro di buoni sentimenti, ma con un esito assolutamente non scontato. In altre parole, un libro di cui si consiglia la lettura.

Monday 22 July 2013

Intervista di Roberta Strano

Intervistando Fabrizio Ago di Roberta Strano

Oggi intervistiamo lo scrittore  Fabrizio Ago, nostro collaboratore (recensore) per la rivista EspressioneLibri (www.espressionelibri.it)

Parlaci di te, della tua vita in Italia e in Canada


Quando mi sono laureato, subito capii che la professione in Italia poteva essere praticata solo con grandi compromessi ed entrando nella cerchia di qualche gruppo politico. Preferii così prendere la via dell’estero, e in particolare andai a lavorare nell’Africa sub-Sahariana, pur mantenendo sempre Roma come base operativa. Sono poi approdato alla Cooperazione italiana allo Sviluppo ed ho preso a viaggiare di continuo tra medio Oriente, Cina, Sud-Est europeo. Diciamo che ho praticamente sempre avuto un piede sulla scaletta di un aereo.
Quando finalmente sono andato in pensione, ho ritenuto che fosse venuto il momento di cambiare vita.
Insieme alla mia compagna, ci siamo comprati una casetta a Procida, che considero il mio rifugio e la mia fonte d’ispirazione per i libri che scrivo.
Ma avevo anche il desiderio di allontanarmi dall’Italia, almeno per un periodo. Non mi riconoscevo più nel paese, per come si era trasformato e imbarbarito negli ultimi vent’anni.
Così siamo approdati in Canada, ormai da cinque anni. Certo qui tutto è ben organizzato e funziona, ma sono anche difficili i rapporti umani con i canadesi, almeno per noi abituati alla franchezza e alla cordialità. Loro invece hanno un concetto di privacy molto rigido, che a volte sconcerta. Ma abbiamo una bella casa, proprio nel centro di Toronto, e poi vi sono tanti posti da vedere e scoprire, e mi faccio sempre lunghe camminate tra boschi, laghi ed isolette e nell’insieme siamo ben contenti di questa nostra scelta.
In Italia ho comunque i miei fratelli, due figli e due deliziosi nipotini. Così almeno tre o quattro volte l’anno parto ed ho come tappe obbligate Roma, Napoli, Milano, Torino, oltre a Procida, dove vado sempre a rifugiarmi per qualche giorno.
Continuo poi a viaggiare per seminari, convegni, premiazioni, almeno due volte l’anno, sia in Italia che in paesi lontani, dalla Svezia, alla Cina, al Brasile.

Raccontaci della tua passione per i musei e la cultura che ti ha portato a ricoprire il ruolo di responsabile del Settore Patrimonio Culturale e di Mediatore Unesco-WIPO.

La protezione e valorizzazione del patrimonio culturale è un tema che mi ha da sempre affascinato, fin dai tempi dell’università. Iniziando a lavorare ho poi deciso di dedicarmi a tale settore, sia nel periodo africano, che poi quando entrai alla Cooperazione Italiana e ora che sono in pensione con la mediazione per conto dell’Unesco nei conflitti tra musei ed altre istituzioni pubbliche.
Alla Cooperazione avevo proposto la creazione di un settore per il Patrimonio culturale e, dopo alcune iniziali diffidenze, le mie idee vennero accettate.  I musei e le biblioteche sono praticamente sempre stati la mia passione. Così ero molto felice di potermi dedicare a loro anche progettandoli, studiandone ristrutturazioni e allestimenti, contribuendo a formarne il personale.
Purtroppo le cose non sempre sono andate come avevo auspicato. Al di là di indiscutibili successi le delusioni non sono mancate. Il progetto per il Museo archeologico di Teheran, ad esempio, è stato abbandonato in quanto non ospita collezioni islamiche, le uniche per l’Iran degne di essere preservate. A Xian le Autorità locali hanno cambiato il progetto per cinesizzarlo meglio.
Ma ciò che più mi rattrista è il non sapere cosa ne sia dei lavori effettuati ai Musei di Damasco ed Aleppo, in quella martoriata terra, abbandonata dalla comunità internazionale. La situazione è poi tanto diversa al Cairo od a Tunisi; ed Ebla esiste ancora?

Un'altra tua grande passione à la scrittura, che spesso ha come ambientazione I musei. Mi riferisco in particular modo al tuo ultimo libro, Notte al Museo di Castelvecchio pubblicato nel dicembre 2012 con YouCanPrint.
Sono da sempre stato affascinato dalla lettura e dalla scrittura; il mio lavoro mi lasciava tuttavia modesti margini da dedicare ai libri. Nel corso della vita professionale, ho quindi praticamente prodotto solamente manuali, dispense universitarie, testi monografici su siti archeologici o musei. Poi mi è venuto il desiderio di dedicarmi ad una scrittura “più leggera”.
Sono così nati i miei libri del periodo in pensione, in cui sempre il museo gioca un ruolo da protagonist.
Ho iniziato con una ricerca bibliografica su come il museo viene raccontato nei romanzi, nelle cronache di viaggio, nelle pièces teatrali. Che splendide giornate ho passato in biblioteche per questo. Sono poi seguiti due libri di ricerca ed interpretazione degli atti delittuosi che sempre più di frequente vengono commessi all’interno di musei, ben oltre quello, diciamo tradizionale. del furto di opere d’arte, e che vanno dall’omicidio, agli attentati ed alle intimidazioni mafiose, allo stupro, al traffico di droga, alla rapina dei visitatori.
La televisione e la stampa ci hanno abituato ad interminabili reportages su fatti di cronaca, spesso eccessivi e invasivi della privacy. Ma se il delitto riguarda un museo, allora giusto un trafiletto di poche righe. Ho così iniziato non solo a chiedermene la ragione, ma anche a tentare di proporre una ricostruzione della dinamica di quei delitti.
E nel raccontarla mi piaceva in particolare immaginare che i musei fossero in qualche modo in grado di comunicare con degli umani, dotati ovviamente di una particolare sensibilità.  Ma ancora non ero del tutto soddisfatto. Era alle opere esposte nei musei che avrei voluto dar vita.
Cercare di cogliere cosa loro provino, sentano, come guardino a noi umani, se con simpatia o con distacco, se con senso di complicità od all’opposto di grave disagio.
Pur rimanendo nell’ambito dei musei, ho seguito in fondo come una sorta di percorso di progressiva emancipazione rispetto alla saggistica pura. E Notte al Museo di Castelvecchio può a tutti gli effetti essere considerato il mio primo romanzo.
 
Cosa ti ha ispirato questa storia suddivisa in 9 capitoli, così particolare e inconsueta?
 
Quelli che ho citato erano gli aspetti su cui mi andavo concentrando, quando iniziò a maturare in me l’idea di questo libro su Castelvecchio.
Mi era capitato di andare due volte a Verona, e lì mi si era come accesa una lampadina. Innanzi tutto quello è un museo magico, con l’architettura medievale, misteriosa e armonica ad un tempo, meravigliosamente restaurata da Carlo Scarpa. Nella Sala Reggia, che subito mi rimase cara, sono poi esposte trenta opere, quadri e sculture gotiche del Tre e Quattrocento, tutte bellissime e nell’insieme ben conservate.
Loro sarebbero state i protagonisti del mio romanzo. Era abbastanza semplice immaginare che parlassero, anche che facessero commenti e persino pettegolezzi sui visitatori. Sì, ma poi cos’altro? Dovevo assolutamente sintonizzarmi con loro, studiandole una ad una, non per ammirane la fattura, ma per carpirne i segreti. Così tornai ancora diverse volte a Verona ed al museo e continuai a scrutarle attentamente, in un iniziale quadro di sospetto, che poi presto si mutò in affettuosa complicità e divertimento, da parte dei custodi.
Questo ovviamente comportò un armarmi di attenzione e disciplina, per vederli davvero quei quadri e quelle sculture, non solo guardarli; per ascoltare quello che avevano da rivelarmi, per carpirne i segreti.  E’ stata poi necessaria un’attenta ricerca storiografica sia sui personaggi rappresentati, che sul periodo in cui tali opere vennero dipinte o scolpite, ricerca da effettuare prima di guardarle ed anche dopo.
Intendevo pormi dalla loro parte, immedesimarmi nella loro dimensione, dando voce ai loro pensieri, sentimenti e ricordi. E questo sia nei rapporti che le opere intrattengono tra loro, che nel modo in cui loro vedono noi umani, o si sentono da noi guardate, con il nostro disinteresse, ma anche i nostri affanni e trepidazioni, in particolare in un periodo difficile come quello attuale.
Era poi abbastanza semplice immaginare che quei quadri, quelle sculture parlassero, anche che facessero commenti e persino pettegolezzi sui visitatori. Sì, ma poi cos’altro? Provavano dei sentimenti quelle opere d’arte? Potevano innamorarsi, covare nell’intimo un forte desiderio di fuga, vantarsi di proprie capacità e conoscenze, forse inventate, diffamarsi a vicenda? E come potevo immaginare che comunicassero? Che tipo di cultura avevano, a parte le due o tre opere sapientone, che ricordi e segreti nascondevano? E quando parlavano o ricordavano, i messaggi che trasmettevano erano quelli del personaggio rappresentato dall’opera d’arte, o quelli della stessa opera, per come era stata plasmata o dipinta da un mastro medievale?
 
Puoi delineare a grandi linee la trama del tuo libro? E qual è il suo insegnamento?
 
Vorrei ancora precisare che la Sala Reggia aveva finito per divenire lo scenario del romanzo, mentre protagonisti non erano delle persone, dei visitatori, bensì le opere che vi sono esposte e che la notte si animano. Ma in modo ben diverso da come accade nel film di Ben Stiller. Nel mio testo non si muovono, si limitano a dialogare tra loro.
Per il resto il romanzo non ha una sua particolare trama e la suddivisione in otto capitoli, oltre all’epilogo, è abbastanza casuale. Tutto si svolge in una sola notte di fine marzo, da quando il museo viene chiuso e le opere iniziano a prender vita, fino alla mattina successiva, quando i custodi lo riaprono e vengono colpiti da un’inquietante scoperta, che ovviamente non posso qui rivelare.
Quanto alla tua ultima domanda, non avevo certo la pretesa di proporre insegnamenti. Questo voleva essere solo un romanzo. L’obiettivo che mi ero posto era di dar voce a quelle opere. Questo mi aveva enormemente affascinato e le sensazioni ed emozioni che avevo provato, passando intere giornate in quella sala, avevo cercato di riversarle nel testo. Diciamo che in qualche modo mi ero fatto opera anch’io, ribaltando completamente la prospettiva che un visitatore ha quando entra in un museo.
Se poi il libro, per i riferimenti, le suggestioni che propone, come il periodo di Gesù in Tibet, le dissertazioni che alcune opere fanno sulla matematica e l’algebra, la capacità di alcune di calunniarsi e di amarsi, ma anche su cosa loro pensano di noi umani quando vi ci rechiamo, può lasciare un suo segno nei lettori che forse nella loro vita hanno anche visitato almeno un museo, saranno loro a doverlo dire. Per quanto mi riguarda l’intenzione comunque c’era.
Diciamo che se da domani ne ricaveranno un sentimento diverso, meno frettoloso e disinteressato, più diretto per le opere esposte nei musei, di simpatia, ma anche di fratellanza (se posso permettermi questo termine), allora il mio obiettivo sarà stato davvero raggiunto.
 
Grazie di essere stato con noi!
 
Ancora grazie a te e ad Espressionelibri. Vorrei anche aggiungere che se qualcuno è interessato, andando al mio blog: http://fabrizioago.blogspot.ca, può leggerne la sinossi, l’introduzione ed un capitolo del libro, come anche vederne il booktrailer.

Thursday 18 July 2013

Recensione de: Preferisco le zebre, di Ginger Flam

 
 
"In fondo avevo sempre preferito le zebre ai cavalli”.

Maldestro e goffo, “un perfetto perdente”, ma anche dotato di sottile autoironia, ci viene proposto Joseph, il protagonista di questo breve e gradevole romanzo di Ginger Flam.
Lui è ora un professionista affermato, ma nel suo intimo non è del tutto contento di sé. Un giorno si alza, va in bagno, si guarda allo specchio e si accorge di non somigliare più all’immagine che aveva di se stesso. Iniziano allora i ricordi, ricordi sparsi e non in sequenza temporale, comunque da quando era bambino.
Da sempre timido ed imbranato, lui si era però sentito un creativo, capace di inventare storie assurde, ma sempre ideate a fin di bene, per cercare di risolvere in favore di altri, situazioni delicate ed imbarazzanti, prive di via d’uscita. Era così arrivato a catturare le simpatie della bambina più bella della classe, che gli aveva regalato una gomma per cancellare, ed era divenuto un eroe per il suo amichetto Thomas.
L’Autrice però vuol andare oltre. Si diverte a dipingerlo come uno stratega di azioni sempre perdenti. Uno destinato a vedersi cadere addosso quanto di più grottesco si possa immaginare, che pareva irrimediabilmente destinato ad attirare su di sé.
Finì così per essere mandato dallo psicologo scolastico, che lo liquidò con una frase sibillina, che gli rimase poi sempre impressa e divenne una sua sorta di motto: “Devi ricordare che se senti un rumore di zoccoli ti conviene dire cavallo e non zebra”. Naturalmente lasceremo che sia il lettore a scoprire cosa effettivamente volesse significare quella frase.
Ma proprio sempre perdenti non dovevano essere. Quando crebbe si mostrò ovviamente impacciato e maldestro prima negli studi e quindi nel lavoro, e tuttavia riuscì a collezionare qualche buon successo. Del tutto imbranato era invece rimasto con l’altro sesso. Così il giorno in cui gli parve di poter avere una prima vera storia con una ragazza, se ne allontanò: “Non mi sarebbe dispiaciuto se, quello che lei avesse avuto accanto, fossi stato davvero io e non la proiezione della mia coscienza ferita”.
Forse, più che un vero perdente era semplicemente un altruista, ossessionato dal desiderio di non vivere solo per se stesso, ma di esistere anche per gli altri.
Ecco quindi che, tornando al presente, davanti a quello specchio, Joseph si rende conto di dover cambiare, fare una scelta. Una profonda scelta di vita; in fondo lui aveva sempre preferito le zebre ai cavalli. Così ha uno scatto d’orgoglio e decide finalmente di aprirsi e fare una solenne dichiarazione d’amore a Miley, la ragazza di cui in fondo era da sempre innamorato.
Sin dalle prime pagine questo romanzo si rivela avvincente. La Flam mostra una buona padronanza della scrittura, fresca e giovane. Un testo caratterizzato poi da un sottile e piacevole umorismo; fatto di nonsense ed immagini surreali, che catturano il lettore ed in più di un’occasione lo inducono al sorriso. Lo stesso ritmo della narrazione conquista. E’ garbato, fresco ed incalzante, con capitoli brevi, a volte brevissimi. Così il brano sul matrimonio di Tom, l’amico del cuore del protagonista, che inevitabilmente sarebbe stato più lungo, ci viene proposto suddiviso in ben tre capitoli. Ma quello che più colpisce sono i brani brevissimi. Con uno, dal titolo: Amnesia, che si riduce persino a due righe: “La morte di mio padre rese bianche e impalpabili alcune pagine della mia infanzia”.
Indubbiamente da consigliarne la lettura a chi desideri passare qualche ora di sereno svago e divertimento. Complimenti alla Fiam.

Friday 12 July 2013

La biblioteca comunitaria di Algonquin Island



Un'immagine della biblioteca comunitaria di Algonquin Island (Ontario) con una popolazione di 700 abitanti, ma per la quale la cultura è fondamentale!

Sunday 7 July 2013

Racconti dell’albero secco, storie ambientate tra i colori ed i profumi di Procida


La Melanzana bianca avvizzita

Nel racconto sulla Melanzana bianca, inserito nella raccolta: Racconti dell’Albero secco, narravo di come la signora Filomena, un giorno che era andata nell’orto a raccogliere delle verdure, si fosse all’improvviso trovata di fronte ad una melanzana bianca.
A Procida era assolutamente la prima volta che si era vista una melanzana di quel colore, e lei ne rimase turbata. Se la guardò indecisa per qualche minuto e poi finì per raccoglierla. Tornata a casa, la mise nel cesto con le altre verdure, e finì poi per dimenticarsene.
Un giorno però, che era uscita, all’improvviso le tornò in mente quella melanzana bianca.
Si affrettò quindi verso casa. Ora quella melanzana, visto che erano passati diversi giorni, sarebbe stata tutta avvizzita e molle. La avrebbe buttata nella spazzatura e così sarebbe finita quella storia. Ma quando andò a guardare nel cesto, anche sotto le altre verdure, con sua grande sorpresa, dovette constatare che la melanzana bianca non c’era più. La signora Filomena ne rimase sconcertata:
“Ma quante me ne dovete combinare in questo periodo! Volete proprio spaventarmi? Dove è finita la melanzana bianca?”
Ora saranno circa quindici anni che la signora Filomena non c’è più. A me però è rimasta la curiosità di vedere come avvizzisce una melanzana bianca. E così ne ho lasciata una nel cesto delle verdure per circa un mese.
Ebbene la ritrovai per nulla avvizzita ed ammosciata come quelle scure. Continuava ad essere perfettamente tonda e liscia. Era solo diventata gialla e verso la punta si era coperta di macchie nere.
Sono proprio un frutto misterioso le melanzane bianche.

Thursday 4 July 2013

L'importanza di ridefinire la memoria

Da anni lavoro ad un redispiegamento della memoria. Per far comprendere quanto ciò sia importante, oggi propongo qui la lettura di un passo di Adriana Bevione, da: Memoria, il patrimonio ereditato:

“Prendiamo, ad esempio la parola pane, oggi per un bambino, ma anche per molti giovani ed adulti, questa parola indica solamente un cibo che al pari di tanti altri, concorre alla nostra alimentazione.
Eppure antico è il legame della tradizione popolare con il pane, che si carica anche di significati simbolici, a partire dalla comunanza con lo spirito di comunità, con la vita ed i legami con le origini. Dalla tradizione derivano anche i numerosi anedotti e superstizioni riferiti a chi non porta rispetto per questo cibo che nelle nostre tavole, tranquillamente, sciupiamo”.

Monday 1 July 2013

Gita all'Agawa canyon, lago Superiore (Ontario)

 
Il 27 giugno per il mio compleanno, gita all’Agawa canyon con un piccolo treno, lungo la linea dismessa di un’antica miniera, tra folte foreste e piccoli ridenti laghi. Arrivati al canyon, una passeggiata nel parco alla scoperta di eleganti cascate, della ridente flora e dei daini e scoiattoli che lo abitano. Nel finale una faticosa arrampicata fino al belvedere, da dove si può godere di una superba vista su tutto il canyon.