Monday 24 November 2014

Recensione de:

Di Pietra e di Luna di Nadia Bertolani

Lo spazio desiderato di un buio che pullulava di ombre ammiccanti…
 
La vicenda narrata in questo libro di Nadia Bertolani si disvela lentamente, come l’immagine di un puzzle, che sorprendentemente prende forma e sostanza in un angolo, in una parte più centrale della composizione, con l’integrarsi e l’incastonarsi progressivo delle tessere. Non ha certamente la struttura di un thriller; intende allora proporsi come un viaggio introspettivo iniziatico? Forse nulla di tutto questo. La stessa autrice mette in guardia il lettore, riportando in premessa una citazione di Fernando Pessoa: “Il poeta è un simulatore/ …”.
E poi come respirare le brevi composizioni che aprono i capitoli? Versi criptici, avvolti, quasi sino alle ultime pagine, da una sottile nebbia: “ma non per me./ Per me/ qualcosa che si infittisce impercettibilmente,/ appena più chiuso e impastato, ma ancora inconsistente”; che poi si scopre essere pronunciati da una sorta di “io-narrante”.
La narrazione si fa quindi concreta. Due fratelli, Luca e Antonia, che da bambini e poi adolescenti erano stati molto legati, si ritrovano dopo anni nella città immaginaria di Mavezia, che a tratti si è indotti ad identificare nella elegante Venezia delle calli e dei canali, a volte in una sua squallida periferia.
Lui, è un eterno indeciso, ossessionato da “strane presenze di cui la mente registra il ronzio frenetico e incessante”. Solo l’amore di una fidanzata molto concreta, riuscirà alla fine a salvarlo. Ma è anche dotato di rara capacità di analisi. E sarà lui, in conclusione del romanzo, a completare il puzzle di cui si diceva, e che tiene il lettore costantemente incollato alle pagine.
Lei sembra quasi il suo opposto: “Contrariamente a lui Antonia non è mai passata inosservata. E’ sempre stata esuberante sua sorella”; e soprattutto di indole ribelle, sempre in fuga. Nulla riesce a frenarla, trattenerla, anche adesso che è rientrata da Monaco di Baviera (dove ha vissuto per otto anni), portando con sé il figlio avuto con un farabutto che l’ha lasciata appena lei rimase incinta. Nulla, nemmeno il fatto che il bambino sia affetto da sindrome di down; il bambino che lei ha chiamato Anapi, come “un piccolo ragazzo indonesiano che aveva conosciuto nel suo andare, un ragazzo con cui aveva dormito una notte umida di rugiada, l’unico con cui non avesse fatto l’amore sotto la luna…”.  
Sullo sfondo un ambiguo e torbido scrittore di fama, che deve il suo successo ad un libro in cui curiosamente vengono narrate vicende, non inventate, ma che trovano riferimento in fatti concreti e che destano, fanno riaffiorare ricordi sopiti nei due fratelli. Misteriosamente lo scrittore viene poi ucciso, senza che peraltro il racconto si tinga di giallo. Anche se nel lettore rimane la curiosità di capire chi effettivamente sia stato a sparargli… O forse la Bertolani intende lasciare al lettore la possibilità di darsela lui una risposta.
Il tutto descritto con stile elegante, raffinato, mai incline alla ridondanza, anzi pacato e sobrio, che sin dalle prime pagine coinvolge quasi amichevolmente. Un libro che molti dovrebbero avere nella loro libreria. Complimenti vivissimi a Nadia Bertolani.

Wednesday 19 November 2014

Piccole storie, quasi comuni di Fiorella Mazza

Recensione


Dove c'è colore è amore!

Molto coinvolgente questa raccolta di “Brevi storie” di Fiorella Mazza, scritte con tono asciutto e pacato, che non concede spazio a digressioni, e ad immagini troppo fantasiose: “ In quei momenti di socialità, la durezza spariva dai loro volti appena sbarbati, sorridenti, ben disposti, al cospetto di una partita a scopone”; oppure: “Il bello era il balcone, minuscolo, dal quale al mattino scorgeva l’orizzonte: era uno di quei momenti speciali, nel quale metteva in atto la sua capacità di spingersi con la mente lontano”.

Si tratta di storie di grandi solitudini, come nel caso di Arturo, che visse cent’anni, dopo aver avuto “una esistenza terrena agiata e in apparenza tranquilla, ma priva di sentimenti profondi e durevoli, a causa della sua scarsa capacità di comunicare”; o con i protagonisti che riuscivano ad avere come compagni solo delle ombre o delle macchie su di un muro. Storie spesso di semplice dolorosa quotidianità, con figure “complicate, mai contente, guardinghe”, a volte perdenti, come Gaia, che aveva “la sensazione di essere sbagliata in tutto”;  o Sabatino che riuscì ad instaurare un vero rapporto affettivo solo con un cane sperduto; ma anche di cupa tragedia come nel brano sull’innocente condannato a trent’anni, che i carabinieri portarono via dall’aula di tribunale, “senza aspettare che lui staccasse la spina ai pensieri assillanti che non avevano smesso di frullargli dentro”.

Non sarebbe però corretto limitarsi a questi aspetti dolorosi. Si tratta infatti anche di storie intrise di grande delicatezza, come in quella della bambina down, sui cui bei capelli biondi era venuta a posarsi una farfalla azzurra; o di narrazioni velate di un sottile sentimento consolatorio. Un caso merita di essere citato da questo punto di vista: quello della signorina Rosa, che finì per presentarsi “nella sua forma più splendente, rendendo soffice e trasparente la sua chioma, e profumandosi di mughetto” e che prese a raccontare dolci storie al piccolo Emilio, mai nato, per farlo addormentare sereno.

Personaggi poi non sempre perdenti, ma anche pragmatici, rassicuranti, come Piera, con notazioni anche di pura positività: “A zero i tristi pensieri, niente segno di rassegnazione, soltanto la gioia del presente!” O come il piccolo Fabrizio, che cresceva sano e forte, pur avendo un grave handicap, e che improvvisamente guarì, per l’affetto che provava nei confronti di un ragazzo down e di alcuni immigrati di colore.

Storie, infine, tutte introdotte da brevi poesie, che ne anticipano il senso: “Ombre/ che percepisci vicine,/ poi s’allontanano…”; “neppure so,/ come avrei voluto/ fossi stato”; e soprattutto storie per nulla scontate e certamente non stucchevoli. Un libro avvincente, ben scritto e soprattutto da leggere tutto d’un fiato. Vivi complimenti a Fiorella Mazza.

Friday 18 July 2014

De "La misteriosa scomparsa della Gioconda

a cura di: carmelafiorellamazza@libero.it


Se fossi chiamata a dare un appellativo all'autore, lo definirei "lo scrittore capace di donare una vita umana ai personaggi delle opere d'arte",...chissà se per amore o per infinita ammirazione. E' nell'aria un che di misterioso intorno a Rezah Kasijgar, un persiano, commerciante di preziosi, che fa ingresso al Museo del Louvre e si dirige spedito verso le sale che lo interessano.
All'improvviso, viene colto da un gradevole raggio di luce, si sente sovra pensiero "come distratto da qualcosa di cui non si rende conto." Si accorge di una giovane donna "che sembra voler catturare con prepotenza la sua attenzione", dalla quale non riesce a distogliere lo sguardo. Essa emana un fluido magnetico che continua ad attrarlo.

Il fascino della narrazione consiste nella dovizia dei particolari, un crescendo d'immagini e di sensazioni che fanno da tramite alla storia, rendendola nuova e velata di mistero. Protagonista è la donna, non eccessivamente bella, dal trucco curioso all'orientale. Rezah Kasjgar non le  stacca lo sguardo. La donna, dal canto suo, non mostra alcun fastidio ad essere scrutata: è sicura di sè e rivolge all'uomo un dolce sorriso ammiccante ed enigmatico. La sua voce è coinvolgente, dalle inflessioni sensuali.
La curiosità del lettore è già stimolata al massimo:...chi sarà mai quella donna? Sorpresa delle sorprese, è la Gioconda di Leonardo da Vinci!
Monna Lisa, insofferente d'essere stata per troppo tempo all'interno del quadro, è in procinto di fuggire... Come ebbe a confidare alla Susanna, si sentiva osservata, "quasi fosse l'animale in gabbia di un circo, e nulla più!"
Non fu soddisfatta del modo in cui Leonardo l'aveva rappresentata, non essendo stata, nella precedente vita, una moglie devota e serena. Leonardo ne fu consapevole: eseguì il ritratto, come gli fu ordinato dal marito. Avendo immaginato il suo scontento, le sussurrò all'orecchio di aver posto sulla punta di un dito della sua mano destra il sigillo della sua energia: proprio in quel punto, era presente il suo spirito; lo avrebbe potuto utilizzare nel modo che riteneva più consono.
L'assicurò che nessun critico sarebbe stato in grado di scoprire il suo segreto, per la limitatezza degli umani. Monna Lisa provava da tempo il desiderio di riappropriarsi della sua vita, per poterla vivere come lei l'aveva sognata..., che invece si spezzò nel maledetto giorno in cui il suo amico Giuliano l'aveva buttata sul letto... Andò tutto storto, da quel giorno!
Liza vuole una nuova opportunità, in cui disporre di una completa e serena indipendenza, vuol liberarsi da quell'intimo grande rancore, per cui pagarono le sue sventurate figlie; infine vuol conoscere il vero amore, "ripagato e libero". Si servirà dell'uomo che le sta di fronte, per uscire indisturbata dal Museo.
Fuori è un mondo nuovo, a lei sconosciuto. I suoi poteri, però, le consentono di procedere spedita per le vie di Parigi: osserva la gente, si ferma alle vetrine dei negozi, curiosa nelle librerie, accede ai ristoranti di cui gusta le prelibatezze. Nessuno si accorge della sua natura diversa. Ignara d'ogni tipo di tecnologia, non sa cosa sia una macchina fotografica, né sa spiegarsi a cosa servano quelle scatolette smanettate dai giovani.
Infine, stanca della prima giornata di libertà, si rannicchia sulla panchina di un piccolo parco, trasformandosi in essenza priva di materialità. "Assorbì interamente la pace della notte."
Liza non vuole perdersi niente: osserva gli uomini nei gesti, nel modo di parlare, di ridere; osserva le donne, il loro modo di rapportarsi con la borsetta.
S'imbatte e fa amicizia con due giovani donne sensuali ed eccentriche, che la riconoscono: anch'esse provengono da un quadro, raffigurante l'Amore sacro e l'Amore profano di Tiziano. Clara e Chiara sono amanti; una volta uscite dal quadro, hanno dato sfogo alla loro passione. Insegnano a Liza come controllare il flusso delle sue doti misteriose, che un forte turbamento o una paura improvvisa o un eccesso "di quel tipo di piacere" potrebbe fare sparire... Unico rimedio, in tal caso, è di abbandonare immediatamente la condizione umana ed assumere lo stato non materico!

Liza scopre di appassionarsi ai libri: ne compra d'ogni genere, memore del fatto che nella sua precedente vita non le fu consentito di saper leggere. S'imbatte in un giovane regista del cinema-contro: bello d'aspetto, capelli lunghi e biondi raccolti a codino, maglione largo, pantaloni aderentissimi di raso, una lunga sciarpa dai colori cangianti, le cui mani sembrano farfalle "intente a svolazzare di fiore in fiore." Liza ne viene attratta e Nicolas mostra di non avere occhi che per lei; tuttavia le rivela di sentirsi attratto dal suo stesso sesso ed è reduce da una recente delusione d'amore. Tra i due nasce una bell'amicizia, della quale Liza si sente soddisfatta: niente sesso, dopo le brutte esperienze che aveva avute. Con lui, di pericoli non ne avrebbe corsi di certo! Nicolas l'avrebbe introdotta nel mondo degl'intellettuali parigini.
Liza possiede quel particolare fascino un po’ da donna un po’ da dea, che certo non lascia indifferente un uomo: il suo modo di muoversi, il vestire, quel suo vezzo di accovacciarsi sulla gamba... La loro amicizia, a tratti, sa di ben altro. Decidono di condividere l'appartamento di lui. C'è confidenza tra di loro, parlano di tutto e Liza sa ascoltare. Nonostante la sua diversità, Nicolas la guarda, ne ammira il fascino che lo stordisce... Tra di loro, "un momento intenso, forse magico, forse nefasto"...e Nicolas fugge. Poi ritorna e ancora..., quel bacio lungo e intenso! E' Liza a staccarsi, per il timore che proprio quel bacio possa dividerli per sempre. Aveva visto bene Liza: l'indomani, Nicolas sparisce e le comunica con un biglietto che non intende più rivederla... L'istinto le fa dire d'inseguirlo: lei donna, non avrebbe chiuso senza un chiarimento...
Le avventure continuano: Liza si dà da fare, incontra nuovi amici, si dedica al volontariato, s'interessa alla politica, si fa delle sue opinioni, mostrando in tutto sicurezza e competenza. Lascia Parigi, si reca a Torino. In fondo lei è italiana. Conosce Michele Arnaud, giornalista. "Prese a guardarlo e a studiarlo un po’...: capelli lisci castani che gli cadevano scomposti sulla fronte, con gli occhi d'un bel verde caldo, dotati di un'espressione acuta e intelligente." Anche Michele è attratto da lei: "continuava a guardarla, in modo discreto. Ovviamente la sua condizione umana non gli consentì di scrutare cosa vi fosse dentro. Provò comunque una forte sensazione; quella di vedervi la terra intera, il passato e il futuro." Lo scrittore, che si trasforma in poeta di grande sentimento... Ancora, "Liza sentiva che l'amore stava bussando imperioso alla sua porta". Lui "continuava a fissarla in un modo che la diceva lunga".

E' lei a prendere l'iniziativa: "poggiò le labbra su quelle di lui, delicata, ferma, decisa. Lui rimase un attimo impietrito...No, non così Liza!" L'eterna differenza tra i due sessi: la donna decisa nei sentimenti ed istintiva, l'uomo che vuol pensarvi, ma che vuol prendere l'iniziativa, perché pretende di voler disporre!
Liza avverte che quel sentimento, che le era stato negato nella precedente vita, "ora sembra affacciarsi all'orizzonte". Si concede, ma non completamente. Dovrà fare attenzione "a che i fantasmi non venissero a terrorizzarla", spingendola a fuggire. Con sgomento, si rese conto di come la sua fisicità avesse iniziato a perdere consistenza"...
Liza, fiera e decisa su tutto, non trova il coraggio di donarsi completamente ad un uomo, come temesse che qualcuno volesse chiuderla in gabbia... Rivela la sua vera natura  a Michele, che "si sentì investito come da una forte raffica di vento, da un devastante uragano." Egli ne è, però, talmente invaghito, che non osa pensare di separarsi da lei.  A questo punto, cosa farà mai Liza? Si concederà completamente all'uomo e resterà con lui o preferirà adottare una soluzione diversa? E' tutto da scoprire!
D'altra parte, le situazioni alternanti e i colpi di scena non sono rari per lo scrittore.
E' così accattivante il racconto, che viene da pensare che un giorno ci si possa imbattere davvero nella Gioconda...A me è ritornata la passione di visitare con un'attenzione "particolare" i Musei!
Ancora una volta, complimenti!

Fiorella Mazza. Catania 27 giugno 2014.

Friday 9 May 2014

I delitti della Primavera, di Stella Stollo




I delitti della Primavera
un serial killer nella Firenze del Rinascimento
di Stella Stollo
Edizioni Graphofeel, 2014

 

Una storia di persone alla ricerca di qualcuno o di qualcosa

.

Molto coinvolgente e puntuale la ricostruzione della Firenze medicea, effettuata da Stella Stollo, in questo suo nuovo libro, ed anche l’interpretazione che propone del significato della Primavera, dipinta da Botticelli nel 1482, che sinora non è stato chiaramente individuato, malgrado i tentativi di importanti studiosi come Giulio Carlo Argan od Ernst Gombrich.
Molto ben descritto l’ambiente artistico-filosofico, che ci viene proposto con dovizia di particolari ed interessanti riflessioni, attraverso gli occhi di Botticelli e Filippino Lippi, suo assistente, e più tardi di un garzone di bottega di quest’ultimo. Anche il linguaggio è ricercato; si prenda ad esempio questo passaggio tratto tra le dissertazioni dei pittori: “Si possono udire i colori come è possibile vedere i suoni. V’è un’intima corrispondenza tra suono e colore. Essi si propagano nel medesimo modo per giungere all’anima che li riceve e li fa conoscere al nostro cervello, dove essa è incarnata”.
Vi si tratta dei più reconditi segreti custoditi dalla Corporazione dei pittori, ma anche delle scoperte (o meglio intuizioni) geografiche, con la teoria dell’esistenza di un Quarto continente tra Catai ed Europa, già esplorato dai cinesi e che ora si vorrebbe proporre al Magnifico di andare a “scoprire”. Vi si tratta delle recenti intuizioni di Leonardo da Vinci, ma anche delle riflessioni sulla cosmogonia del creato portate avanti dalla Confraternita dei Fedeli del Giglio. Delizioso, da questo punto di vista, il brano: “Sfioro con le dita alcune gemme.., con la stessa tenerezza che riserverei a creature viventi; in effetti, ognuna di loro pulsa di vita e di energia, sotto i polpastrelli posso percepirne il battito del cuore e le vibrazioni dell’anima benevola e taumaturgica”.
In tale contesto la Stollo svela quello che secondo lei è il reale obiettivo della Primavera, in una ricostruzione avvincente, ma anche assolutamente plausibile e ben articolata, come fa annunciare allo stesso Botticelli: “Voglio dipingere un’opera propiziatoria che influenzi beneficamente il viaggio di Amerigo verso il nuovo Mondo e che ci aiuti nella realizzazione di una società basata sulla scienza e sull’amore universale”.
Nell’impostazione neoplatonica dell’epoca il quadro, realizzato per Giuliano de Medici cugino del Magnifico, legato al mondo dei banchieri ebrei di Lisbona, avrebbe dovuto essere una sorta di viatico per la spedizione verso l’America. E proprio da quell’ambiente sarebbe venuta la richiesta di effettuare il viaggio, proprio nel 1492, in funzione di calcoli propiziatori cabalistici.
Ma la Stollo, con la maestria della sua sottile penna, non si ferma qui e ci fa dono anche di un’altra avvincente chiave di lettura del quadro. “L’osservatore più della comune vista deve saper usare il proprio occhio interiore per decifrare una geometria invisibile, nascosta dietro la realtà osservata”.
In pagine ricche di suspense, il lettore diviene allora testimone di una serie di efferati delitti che già da tempo sta sconvolgendo la città di Firenze. Otto omicidi di cortigiane, ma anche di nobildonne e del giovane figlio gay di un rispettabile notaio, che nella mente malata di un serial killer, messer Antonio, speziale, detto Manisante, avrebbero dovuto rispondere ad un suo altrettanto ardito disegno cosmico. Botticelli rimane profondamente colpito da quegli orrendi delitti, di cui non si faceva che parlare in città, tanto che, come a volerne esorcizzare l’angoscia, ne avrebbe proposto proprio nel suo quadro, una sorta di “sacra rappresentazione”. Le figure della Primavera non sarebbero dunque altro che le vittime del “mostro”, accuratamente ritratte nel loro aspetto, e contraddistinte da apparenti innocui elementi decorativi, che in realtà altro non erano che rappresentazioni delle modalità dei loro brutali omicidi. Ecco dunque svelato anche il senso degli “otto” personaggi del quadro e delle tre grazie, che sono proprio le tre fanciulle di cui il suo garzone di bottega aveva casualmente veduto i cadaveri.
In ogni caso, per la Stollo, il mostro non verrà mai scoperto, ed anzi, dopo aver inscenata la sua stessa morte, fuggirà lontano. Ma per dove? La sua figura finirà poi con il legarsi a quella di Amerigo Vespucci?
Assolutamente da consigliare la lettura di questo libro, per le belle ricostruzioni ambientali e per le innumerevoli suggestioni che se ne possono ricavare, come anche per le preziose poesie che intercalano il testo e per le avvincenti pagine dedicate al delicato amore tra Botticelli e la sua modella.


 



 

Thursday 27 February 2014

La magia di una notte al Museo di Castelvecchio


IL LIBRO. Presentato nella «notte dei musei» il racconto di Fabrizio Ago ispirato all´allestimento scarpiano delle sale
La magia di una notte nel museo
con le statue che parlano tra loro.
Le sculture furono sistemate da Carlo Scarpa «come in dialogo» Ora un romanzo immagina che davvero, ogni notte, si animino

Come non occuparsi del caso singolare di uno studioso italiano, ma non veronese, che vive in Canadà, il quale ha scritto un romanzo ambientato al museo di Castelvecchio, prendendo le mosse dall´allestimento Scarpa, per riflettere sul tema del dialogo fra le opere e sulle opere d´arte?
Se ne è occupata la direttrice del museo, affascinata dall´idea, presentando, assieme ad Alba di Lieto, e alla presenza dell´autore, Fabrizio Ago, il volume Notte al Museo di Castelvecchio (Youcanprint Self-Publishing, 281 pagine, 15 euro, agofabrizio@gmail.com). Lo ha fatto nella serata più appropriata, quella recente «notte al museo» in cui, su tutto il territorio nazionale e anche nei musei veronesi, si aprivano gratuitamente le porte al pubblico.
È stato un successo: visitatori di ogni età sciamavano nelle sale interloquendo con ragazze e ragazzi, addestrati a ciceroni, che, con le loro giovani parole, spiegavano alcune opere. Paola Marini ha ricordato come nel passato e ancora oggi il museo e il suo nobile cortile siano stati sede ideale per teatralizzazioni con eventi spettacolari, ospitando, ai tempi di Antonio Avena, feste che ricordavano i signori della Scala, e, ai nostri tempi, film e pièces teatrali famosi. Ma soprattutto
la direttrice ha spiegato perché, a suo avviso, proprio dall´allestimento Scarpa ha potuto prendere le mosse il libro.
Secondo l´ambientazione di Avena, tutte le sale presentavano arredi, mobilio e sistemazioni simili alle residenze private, a cui direttamente si ispiravano. Quindi quadri alle pareti, accostati in modo armonioso ma convenzionale o tradizionale, e statue pure addossate ai muri e contemplabili solo frontalmente.
Con il suo intervento innovatore, cominciato nel 1958 con la mostra «Da Altichiero a Pisanello», Carlo Scarpa eliminò invece tutto ciò che non era ritenuto essenziale. «Geniale ridimensionamento», lo definiva Renzo Chiarelli. Così nel nuovo percorso ragionato e ragionevole di storia dell´arte, le opere sono state sistemate al centro dello spazio invitandole, quasi, a dialogare fra di loro e permettendo ai visitatori di girarci attorno.
Eccoci: nella sistemazione di Scarpa dipinti, affreschi e statue, in qualche modo più vivi e quasi in movimento, si parlano. La celebre foto di Ugo Mulas che ripubblichiamo in questa pagina mostra lo stesso Scarpa «in dialogo» con le statue appena ricollocate. Le opere, proprio con il loro porsi nello spazio, hanno suggerito a Fabrizio Ago, che lo ha pure sottolineato nel suo intervento, l´invenzione del suo romanzo.
Che ci invita, se non altro, «a considerarle come creature viventi da trattare con amore e delicatezza».
L´autore Fabrizio Ago, architetto, già responsabile del settore culturale della cooperazione internazionale al ministero degli Affari Esteri, art & cultural mediator per Icom (International Council of Museums), specialista in studi museali, è un gentile signore settantenne di origine torinese, che ora vive tra Toronto e Procida.
Avendo più e più volte visitato Castelvecchio, si è invaghito delle quattro statue allegoriche — Temperanza, Giustizia, Vicenza e Verona — che stanno nella Reggia al piano nobile del castello, provenienti dalle Arche Scaligere. Sono le sue muse ispiratrici per questo vago racconto/fiaba, in cui, appunto, si immaginano statue (i simulacri viventi sono una tradizione nei miti greci) e personaggi dei dipinti che dialogano fra loro, in una notte di fine marzo o forse d´autunno. Ricordi, rimpianti e rancori, noia, ma pure idilli e innamoramenti.
Statue e quadri si inseguono, meditano fughe, litigano, si amano, ma soprattutto ricordano il passato, rievocando i personaggi stessi che rappresentano, e le loro vicende umane. Tutto nell´arco di una notte da quando l´ultimo custode ha chiuso l´ultima porta a quando il primo del mattino la riapre. Come i balocchi che nel balletto Lo Schiaccianoci prendono vita notturna e si animano, per poi riaddormentarsi e ammutolire.
Un ammirevole sforzo di reinvenzione da parte dell´autore, con tanto sentimento storico e sensibilità artistica.

Tratto da:

L'Arena il giornale di Verona 30/05/2013 2013 CULTURA, pagina 47 Paola Altichieri Donella

Commento a: Racconti dell'Albero secco


di Maria Grazia Cavernihttp://ilmiolibro.kataweb.it/images/star.jpghttp://ilmiolibro.kataweb.it/images/star.jpghttp://ilmiolibro.kataweb.it/images/star.jpghttp://ilmiolibro.kataweb.it/images/star.jpghttp://ilmiolibro.kataweb.it/images/star.jpg

Storie tenerissime. Si manifesta subito la delicatezza dell'autore e la grazia del suo raccontare. E' un uomo fortunato, Ago, perché ha i nipotini ai quali può dedicare le sue "fiabe". Ma soprattutto per la grande capacità di immedesimarsi nella natura. Le sue dita, sul computer, dipingono acquerelli leggeri, capaci di rendere di sogno ciò che anche le foto hanno descritto. Perché le parole vanno oltre, hanno un tocco d'antan che forse solo chi ha qualche primavera è ancora in grado di esprimere. Grazie. Evviva le anime candide!

giovedì 27 febbraio 2014 commento alla 1a edizione

 

Monday 23 December 2013

La misteriosa scomparsa della Gioconda



Un giorno la Gioconda non ne poté più di quella folla vociante davanti a lei, e di vedersi usata per pubblicità di tutti i tipi, così decise di uscire dal quadro, lasciandovi solo lo sfondo, e si allontanò dal Museo.
Il quadro venne allora coperto ed i visitatori iniziarono a disertare il Musée du Louvre, mentre si attivarono canali diplomatici per far venire a Parigi l’altra Gioconda dipinta da Leonardo da Vinci.
Chi volesse sapere cosa poi fece Liza Rivoli (il nome che la Gioconda adottò dopo essere uscita dal Museo), dove andò a vivere, chi divenne sua amica del cuore, e chi il suo grande amore, nonché il motivo per cui si ritirò in convento, ed alla fine prese una decisione tanto drastica… potrà trovare le risposte in questo libro di Fabrizio Ago:

La misteriosa scomparsa della Gioconda.